Da quasi un anno, il Laicato Saveriano di Salerno, insieme ad un gruppo di volontari, ha promosso un’iniziativa di solidarietà presso la casa circondariale di Salerno denominata “Ero in carcere”. La dimensione missionaria si esprime nel “farsi vicini” a detenuti stranieri che non hanno famiglia, offrendo loro un supporto umano e materiale e creando occasioni di dialogo e interazione.
L’incontro del 17 aprile, intitolato “La pace inizia da noi stessi”, ha avuto per obiettivo il celebrare insieme la Pasqua e la fine del Ramadan: due festività importanti per le religioni più praticate tra i detenuti . Hanno partecipato all’incontro i detenuti stranieri, che regolarmente incontriamo, insieme ad un piccolo numero di detenuti italiani: una trentina in tutto.
Questa è la seconda iniziativa organizzata dal gruppo “ero In carcere “che cerca, in questo modo, di coinvolgere non solo i singoli ma un gruppo di detenuti. La prima, svoltasi durante il periodo natalizio, ha visto la partecipazione dei detenuti stranieri a un momento di riflessione comune intorno ad una fiamma (segno di luce e di pace) che, attraverso una staffetta, è arrivata da Betlemme.
Questo incontro di primavera è iniziato con la presentazione del tema della pace da parte di Anna Paola, laica saveriana, e Dina (sorella missionaria saveriana), che hanno raccontato il significato della Pasqua secondo la tradizione cristiana a partire dal racconto della Risurrezione descritto nel Vangelo di Matteo. Successivamente, Bahia, volontaria marocchina, ha spiegato il senso del Ramadan specificando che non è solo un’osservanza ritualistica del digiuno ma una profonda disciplina spirituale. Un promemoria dell’importanza del controllo di sé, dell’empatia per i meno fortunati e della gratitudine per le benedizioni ricevute.
I partecipanti si sono poi divisi in piccoli gruppi per un’attività laboratoriale condotta da padre Gael (missionario saveriano). Attraverso immagini (non foto ma elaborazioni di artisti), i detenuti e i volontari hanno riflettuto sul concetto di pace e sulle modalità di viverlo nel proprio quotidiano.
Le dinamiche dei gruppi di lavoro hanno rivelato la ricchezza di caratteri e di modi di porsi, fra di loro e verso gli altri.
I gruppi di lavoro si sono concentrati su quattro immagini: una bambina davanti a un carro armato, madri che proteggono i loro figli in guerra, una mamma in fuga con un bambino e due mani che si tendono per formare un ponte. Al termine dei laboratori i gruppi hanno condiviso le loro riflessioni con l’assemblea.
Le esperienze condivise dai detenuti hanno toccato il cuore di tutti i partecipanti, evidenziando la sofferenza di chi vive lontano dalle proprie famiglie e la difficoltà di percepire la pace in un ambiente carcerario. Con parole semplici hanno ribadito l’importanza di creare un clima di accoglienza e dialogo all’interno del carcere, dove l’ascolto reciproco e la disponibilità verso gli altri, non sempre facile da vivere, rappresentano i primi passi verso la costruzione di un mondo più pacifico.
Temi chiave emersi:
Protezione e cura: Le immagini delle madri che proteggono i loro figli hanno evocato il tema della vulnerabilità e del bisogno di cura, soprattutto per i detenuti stranieri che si trovano lontani dalle loro famiglie.
Costruzione della pace: L’immagine delle mani che si tendono ha stimolato riflessioni su come costruire la pace in un ambiente carcerario, dove la coabitazione forzata può generare tensioni e conflitti.
Ascolto e rispetto: I partecipanti hanno sottolineato l’importanza dell’ascolto reciproco, del rispetto e del buon senso per creare un clima di pace.
Rinuncia all’egoismo: Un detenuto marocchino ha affermato che la pace richiede la rinuncia all’egoismo per questo la vera bandiera della pace è la bandiera bianca dove ognuno rinuncia a fare la guerra.
Partenza da sé: Per costruire la pace è necessario partire da se stessi, coltivando un cuore aperto e disponibile al dialogo.
L’incontro si è concluso con un buffet con pizzette e rustici ma anche di “ bastela”, pietanza di origine marocchina e dolci a base di mandorle e miele tipici della zona nord africana, preparate dai volontari e dalla comunità marocchina di Salerno.
In seguito, il rappresentante dell’area trattamentale della casa circondariale ha espresso il suo apprezzamento per l’evento, sottolineando la sua importanza per i detenuti, in particolare quelli stranieri. Ha, pure, evidenziato come questi eventi permettano di vedere i detenuti in una luce diversa, più rilassata e aperta, rispetto al loro comportamento abituale. Ha inoltre sottolineato l’importanza di queste iniziative per chi lavora all’interno del carcere, definendole “piccole cose” che però hanno un grande valore per i detenuti. Infine ha concluso ringraziando tutti gli organizzatori e i partecipanti a nome suo e dell’area trattamentale .
Vorrei condividere una riflessione di una nostra volontaria:” È vero che chi si trova in carcere è privato della libertà, ma questi incontri hanno dato a tutti la possibilità di esprimersi liberamente in un clima di confronto e condivisione”.
Questa esperienza è stata preziosa per tutti, sia per i carcerati che per i volontari. Il confronto libero e aperto tra persone diverse ha permesso di esprimere liberamente pensieri e sentimenti dando a tutti occasione di crescita.”
L’ incontro ha evidenziato la possibilità di costruire ponti tra culture e religioni diverse, persino all’interno di un ambiente carcerario. La pace, come suggerisce il titolo dell’evento, ha origine da noi stessi: dal nostro impegno a comprendere, rispettare e dialogare può nascere un mondo più pacifico.
Claudio Condorelli