Bangladesh, due sposi in missione

Riportiamo l’articolo tratto dal sito Vatican Insider nel Mondo del quotidiano La Stampa :

http://www.lastampa.it/2018/07/11/vaticaninsider/bangladesh-due-sposi-in-missione-JzCdLr14w1R7MybNtDV8QN/pagina.html

Bangladesh, due sposi in missione

Franca e Patrick, moglie e marito, hanno dedicato un anno della loro vita alla popolazione locale che soffre la fame e vive senza garanzie sanitarie

Bangladesh: laici in missione

Pubblicato il 11/07/2018

LUCIANO ZANARDINI

Sono sempre di più i laici che decidono di dedicare una parte della loro vita a un’esperienza missionaria. Le stesse congregazioni investono sulle loro competenze per elaborare e portare avanti alcuni progetti. È questa la storia di Franca, originaria di Macherio, che ha incontrato sulla sua strada Patrick, un bengalese arrivato in Italia per studiare Teologia. Dopo i primi due anni di formazione, la vocazione di Patrick è confluita nel laicato saveriano lì dove operava già da tempo il medico brianzolo. Si sono conosciuti in parrocchia a Parma e si sono sposati. Per 365 giorni (il tempo dell’aspettativa) hanno vissuto in Bangladesh (dove dal 1950 operano i Saveriani) a stretto contatto con i religiosi presenti.

Hanno portato lo spirito di una famiglia che vive il proprio matrimonio nella fede e grazie alla fede. Hanno cercato, nella semplicità, di vivere il carisma ispirato da san Guido Maria Conforti: «Fare del mondo una sola famiglia in Cristo». In particolare hanno vissuto nella zona sud-ovest del Paese, a pochi chilometri dal confine con l’India e dalla foresta di mangrovie, a Iswaripur-Syamnagar dove da 15 anni è presente la missione guidata da padre Luigi Paggi. «I cancelli di bambù della casa – spiega Patrick – sono sempre aperti. Chiunque può entrare per chiedere un aiuto o una consulenza. L’azione pastorale si rivolge soprattutto al gruppo tribale dei Munda, che, prima dell’arrivo di padre Luigi, era sconosciuto e non figurava nelle mappe governative dedicate alle popolazioni indigene».

Parliamo di una tribù arrivata dall’India nel periodo coloniale. Una ventina di ragazze Munda vengono accolte per evitare il fenomeno, a 12 e 13 anni, delle spose bambine e studiano per superare le lacune del sistema pubblico d’istruzione.

«Sono le donne – spiega Patrick – che di buon mattino, il giorno di Pasqua, si recano al sepolcro e tornano ad annunciare la risurrezione. Sono le donne, testimoni poco credibili del tempo di Gesù, a ridare la speranza là dove tutto è perduto. Le donne in Bangladesh sono discriminate fin da piccole e costrette a matrimoni precoci e combinati. Diventano madri adolescenti, rischiando la vita per la vita. Spesso sono vittime di violenze. Non hanno neppure il diritto di ereditare i beni di famiglia. Lottano anche contro una natura dove l’acqua è abbondante ma non potabile. Sono giovani che hanno saputo ribellarsi alla propria famiglia e alla cultura locale, aprendo così nuove strade per tutte le ragazze».

Patrick, lo chef del gruppo, e Franca hanno condiviso la quotidianità della comunità. Sono stati ribattezzati Dada (il fratello maggiore) e Boudi (la cognata). I coniugi hanno garantito una presenza medica stabile presso l’Asraf Ibrahim Medical College and Hospital, una struttura gestita da un musulmano che non ha medici fissi ma che può beneficiare del contributo di suor Roberta Pignone che con il Pime lavora anche a Khulna in un ospedale per malati di lebbra e tubercolosi. Tre giorni a settimana l’ambulatorio, il venerdì (giornata festiva nazionale) i Medical camp nei villaggi più sperduti.

Nella regione di Syamnagar non ci sono cristiani; e pensare che in quella zona, cinquecento anni prima, venne edificata la prima chiesa cattolica, di cui oggi non c’è più traccia, del Bangladesh. Il confronto con le altre religioni avviene quasi spontaneamente e banalmente si scontra con una alcune problematiche culturali: nelle strutture sanitarie le donne musulmane faticano, per esempio, ad accettare di essere visitate da un uomo.

I cristiani (il 70% sono cattolici) rappresentano solo lo 0,4% della popolazione (l’88% è musulmana). Ci sono anche indù e buddisti. La domenica, quindi, si spostano in moto a Shatkira in una comunità gestita dai Saveriani (il parroco è padre Lorenzo Valoti) che tra l’altro controlla anche un orfanotrofio per bambini estremamente poveri in un Paese che con i suoi 162 milioni di abitanti soffre la fame. Sul versante sociale, nel territorio c’è un grande problema legato all’accesso all’acqua dolce: nelle falde acquifere, infatti, a causa della coltivazione intensiva di gamberetti c’è solo acqua salata. Il risultato è un disastro ambientale. La progressiva desertificazione impedisce anche la coltivazione del riso, che è alla base dell’alimentazione locale. Per ovviare a tutto ciò, sono stati realizzati (uno anche nella missione) dei pukur, degli stagni che, durante la stagione delle piogge, raccolgono l’acqua piovana poi filtrata dalle principali impurità.

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