l’undicesimo anno di accoglienza notturna ai senza dimora a Salerno

Un anno difficile questo undicesimo di accoglienza notturna per senza dimora ai Saveriani di Salerno. La domanda pressante di un letto da parte di sempre più persone ha fatto saltare i nostri piani che prevedevano pochi posti letto e un’attenzione più personalizzata.

È stato però anche un anno di sfide: possiamo dire di aver spostato i nostri confini. Cerco di spiegarmi. Spesso si pensa che il maggiore problema dei senza fissa dimora sia la povertà. Naturalmente è vero che la povertà è un elemento essenziale della loro condizione ma, forse, l’elemento più caratterizzante, secondo me, è la mancanza di reti relazionali. Si è per la strada perché sì e senza soldi, senza documenti, si sono persi contatti con le famiglie o peggio si è responsabili di queste rotture… Tutte sofferenze spesso difficili da indagare a cui corrispondono, in alcuni di loro, atteggiamenti sempre più isolazionisti e di ostilità verso chi tenta di avvicinarsi: il rifiuto di adeguarsi ad una “normalità” che non li rappresenta. E queste persone spesso sono escluse anche da alcune strutture di accoglienza, per la loro incapacità a relazionarsi in modo corretto. E quindi il nostro confine, la nostra capacità di accoglienza, si muove continuamente su questo fronte: Come si possono accettare persone difficili senza che queste minino l’equilibrio, sempre precario, di una accoglienza che necessita che persone diverse per nazionalità, religione, educazione stiano insieme in armonia? Ma come non accorgersi che proprio le persone difficili sono spesso le più bisognose di aiuto, le più emarginate, spesso considerate solo immondizia da ripulire? Questa è la provocazione, la sfida alle nostre coscienze Lo diciamo subito: non abbiamo soluzioni! Ma non possiamo chiudere gli occhi, girarci dall’altro lato. navighiamo a vista! siamo consapevoli che noi siamo solo un piccolo pezzo delle cose che si possono fare, ma non possiamo rinunciare ad essere segno e seme di cambiamento.

È per questo che mi sento di dire:

  • In fondo la nostra azione è un’azione missionaria perché cerchiamo di testimoniare “ciò che abbiamo ricevuto” a persone al di fuori delle nostre culture di appartenenze che abitano luoghi vicini ma nello stesso tempo lontani dalla nostra vita quotidiana.

 

  • Quando ci avviciniamo ai problemi individuali dei singoli senza dimora lo facciamo sapendo che esiste anche un problema “sociale”. In altri tempi questa affermazione sarebbe stata considerata banale. In realtà oggi si va formando sempre più una cultura che guarda agli emarginati come causa dei problemi e non come conseguenza della incapacità di saperli affrontare. E questo spesso provoca inerzia: se non si vogliono affrontare i problemi per umanità si affrontino per razionalità, cioè per ridurre i danni sociali ed economici.

 

  • Fare volontariato sociale da molto gratificazione a chi lo fa e questo, anche se legittimo, porta spesso (anche fra noi volontari)a cercare  soluzioni individualistiche non sempre collegata ai bisogni .Per esempio a Natale troppi organizzano pranzi e cene ma pochi indicano bisogni prioritari a cui, insieme, pubblico e privato potremmo cercare di dare delle risposte .Anche i servizi sociali, le forze di polizia locale, i servizi di igiene mentale, intervengono se sollecitati ma non all’interno di piani e progettualità.

 

  • Non si può fare veramente accoglienza se non si è disposti a mettersi in discussione: sicuramente vagliare e valutare ma anche esprimere virtù che spesso chi sta per la strada non incontra come la gentilezza e l’ascolto. E poi mettersi veramente “in rete” rispettare (anche criticandole) altre esperienze senza credersi più bravi e rispettando approcci e punti di vista differenti.

 

  • Auto educarsi sapendo che il nostro è un servizio che porta con se tanto potere: noi decidiamo se una persona passerà la notte in un letto o in una strada. E i nostri ospiti lo sanno e si comportano di conseguenza. Spesso dobbiamo dire dei no. Dobbiamo però dimostrare anche in questi momenti comprensione e tenerezza: Che Dio ci aiuti!

Claudio Condorelli

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