Con i “senza fissa dimora a Salerno”

Riportiamo l’articolo di “missionari Saveriani” (pagina di Salerno/ dicembre 2020) che racconta l’esperienza di un volontario nel centro di accoglienza notturna presso i Saveriani di Salerno.

Quando si dice: “Il Signore ti cerca per la sua vigna”. Il mio incontro con i “senza fissa dimora” è iniziato proprio così. Nella parrocchia che frequento, una sera è venuto a celebrare l’Eucaristia un saveriano, p. Carlo Salvadori. Sono stato molto colpito dalla sua omelia, perché parlava dei suoi anni trascorsi in Camerun come missionario e ci ha parlato anche dell’opera di accoglienza nella casa di Salerno. Alla fine della celebrazione, mi sono sentito attratto da questa attività e mi sono presentato a lui per chiedere chiarimenti e come avrei potuto rendermi utile. Subito, p. Carlo mi ha invitato a partecipare, la sera del giorno dopo, all’accoglienza dei senza fissa dimora.

Prima di incontrarli mi ponevo degli interrogativi. “Come e cosa posso fare per loro?”. Mi sono affidato al Signore per questa esperienza. Durante il mio primo turno di servizio, sono rimasto colpito dal modo in cui si aiutano reciprocamente, proprio come se fossero componenti di un’unica famiglia con lo stesso cognome, «Clochard”. Si tagliavano i capelli a vicenda. A cena condividevano il vasetto di verdure sott’olio che avevano ricevuto in elemosina da qualche anima buona che passava per le strade. Dopo cena, mi intrattenevo amichevolmente con qualcuno di loro che mi raccontava con fiducia la sua storia.

Terminato il mio primo turno serale, sono salito in auto sulla via del ritorno, in silenzio fino a casa. Pensavo e riflettevo sul dono che il Signore mi aveva fatto, facendomi conoscere una realtà di cui ignoravo l’esistenza. Per me, quelle persone erano solo coloro che vedevo mendicare davanti ai negozi e a cui, ogni tanto, davo qualche monetina. Da tre anni svolgo questo servizio di accoglienza. Ho conosciuto amici di tante nazionalità, ognuno con il suo fardello di guai, miserie, di vita fragile e di malanni seri dovuti alla strada. Con il passare del tempo, si diventa davvero un’unica famiglia. Ho anche acquistato la loro fiducia. Il loro bisogno di rifugiarsi nell’alcool, spesso, scaturisce dall’esigenza di dimenticare il passato, talvolta anche le proprie famiglie che per molti non esistono più. Qualcuno è stato aiutato ad avere un’identità, altri sono stati congiunti ai familiari, altri sono stati fatti curare negli ospedali. Sono identificati come “Senza fissa dimora”, perché non hanno un posto dove poggiare la testa la sera. Io ho imparato che, sotto quei cappotti laceri e l’alito che sa di vino, ci sono persone con un vissuto che nessuno di noi immagina.

Ringrazio Dio e i saveriani per avermi dato la possibilità di servire il Cristo Crocifisso e ringrazio i tanti Dipo, Adam, Hammed, Lal, Alex, Sacha che in questi anni sono passati nella mia vita e che mi hanno dato la possibilità di servirli. Ma, tengo a precisarlo, sono loro che hanno servito me.

Giorgio Del Pizzo

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