Laicato Saveriano

BENVENUTI ! a padre Paggi e le ragazze Munda

Ricordate i racconti di Franca e Patrick sulla loro esperienza missionaria raccontate sul blog http://patrickefranca.blogspot.com.? E ricordate padre Paggi Missionario in Bangladesh da oltre quaranta anni che è stato un po’ la loro guida? Fra qualche settimana sarà in Italia con alcune ragazze Munda e noi ci stiamo preparando ad accoglierlo.

Ripubblichiamo un ampio stralcio di un articolo di Padre paggi apparso sul numero di settembre-ottobre 2018 di “Missione Oggi” rivista di approfondimento dei Missionari Saveriani:

 

La mia attività missionaria in Bangladesh, il paese delle alluvioni e dei cicloni, si è concentrata fin dall’inizio-e continua tuttora nell’ambito scolastico. Da oltre quarant’anni anni insegno a leggere e a scrivere al “sotto-proletariato” del Bangladesh contadino, rurale: per oltre vent’anni i miei alunni furono i cosiddetti untouchable (intoccabili) indù e da quindici continuo più o meno lo stesso lavoro tra un gruppo tribale -i Munda -dislocato ai margini della Foresta del Bengala, il regno della famosa tigre reale del Bengala.

NEL REGNO DELLA TIGRE REALE

Tra questi tribali la mia attenzione da vari anni è rivolta alle ragazze adolescenti della tribù molto spesso costrette a sposarsi in tenera età con il rischio di finire sottoterra assieme al loro primogenito all’età di 14 anni. Queste ragazze sono incoraggiate a disubbidire e a ribellarsi ai genitori qualora le volessero costringere ad un matrimonio prematuro e forzato. Nei confronti di questi due gruppi umani-gli “intoccabili” e i “tribali” -, che nella società del Bangladesh sono stati da sempre relegati in fondo alla scala sociale, mi sembra di nutrire due sentimenti: riconoscenza e ammirazione.

RICONOSCENZA E AMMIRAZIONE

Il  primo sentimento è quello di riconoscenza per avermi dato il “benvenuto”, per aver accettato la mia presenza tra di loro, senza farmi sentire un intruso, e per aver apprezzato i servizi che ho cercato di offrire loro nel tentativo di migliorare le loro condizioni di vita. Il secondo sentimento è quello dell’ammirazione per la loro capacità di sopravvivenza in mezzo a privazioni di ogni genere, in situazioni di emarginazione, povertà, che sarebbe meglio definire mi-seria, spesso accompagnata da violenze e atrocità. Ma nonostante la povertà, l’indigenza e la durezza della loro vita non si può non ammirare la loro gioia di vivere, il loro ottimismo, la loro capacità di ricominciare sempre daccapo anche dopo catastrofi e calamità naturali e ambientali, in alcuni casi prodotte dall’avidità umana, come l’allevamento dei gamberi do-ve una volta si coltivava il riso.

NON Cl SONO CULTURE SUPERIORI

E adesso due parole su quanto mi sembra sia cambiato in me vivendo a contatto con questo “sottoproletariato” del sub-continente indiano. Anzitutto, mi pare che il sentimento (complesso) di superiorità che il missionario bianco, venuto dall’Occidente, consciamente o inconsciamente si porta dietro, sia diminuito anche se non è sparito del tutto. E molto bello il racconto di quel barcaiolo che prende sulla sua barca un gran professore per traghettarlo dall’altra parte del fiume. Durante la traversata il gran professore chiede al barcaiolo se ha imparato a leggere e a scrivere, se sa qualcosa di storia e geografia, se conosce qualche altra lingua ecc. Domande a cui il povero barcaiolo può dare solo risposte negative. Al che il professorone dice: “fratello, la tua vita per metà è persa e sprecata!”. Improvvisamente nel cielo si addensano dei nuvoloni neri, si scatena un vento impetuoso e la barchetta è sballottata dalle onde. Il barcaiolo chiede al professorone se è capace di nuotare, : “No”. Al che il nostro barcaiolo dice: “Caro signore, la sua vita è sprecata e persa completamente e non solo per metà!”. Il “sottoproletariato” del Bangladesh mi ha insegnato che non ci sono culture superiori e inferiori. Ci sono solo culture diverse! E una è tanto valida come l’altra!

IL PRIMATO DELLO “STARE CON”

Un occidentale catapultato nei bassifondi della società del subcontinente indiano si porta poi dietro la malattia del “pragmatismo”. Si rende subito conto dei tanti bisogni e necessità della gente tra cui si trova a svolgere il suo lavoro missionario e incomincia a trafficare per risolvere i loro problemi. Ma molto spesso i suoi sforzi sono destinati al fallimento perché dimentica che il “fare con” è la condizione sine qua non perché un’opera sia valida, efficace, e duratura. Il solo “fare per” è destinato al fallimento! Inoltre, il nostro occidentale si rende conto che ancora più del “fare con” per il “sottoproletariato” del subcontinente  è importante lo “stare con”. Un tempo si diceva che la strategia missionaria doveva girare attorno a tre parole-chiave: koinonìa (comunione) – diakonìa (servizio) – kèrigma (annuncio). Nei miei 43 anni di presenza in Bangladesh, mi sembra di aver capito che delle tre parole la più importante e necessaria sia la prima: koinonìa ossia “stare con”.

CONTENTI DEL POCO

“Stare con”, sì, ma come? Chiaramente qualcosa da insegnare il nostro viso pallido occidentale ce l’ha, ma quante cose può imparare dal “sottoproletariato”! Potrà insegnare ai bambini del “sottoproletariato” a leggere e a scrivere, un po’ di lingua inglese, un po’ di storia e geografia ecc., ma può a sua volta imparare molto dal “sottoproletariato”. Papa Francesco direbbe: “I poveri hanno molto da insegnarci in umanità, in gentilezza, in sacrificio … “: a) la semplicità della vita; b) la sobrietà c l’austerità; c) l’accontentarsi del poco.

Un grande scrittore e giornalista italiano, Tiziano Terzani, ebbe a dire che l’economia occidentale, sempre alla ricerca del di più, è impazzita. La vera oikonomia (amministrazione della casa) è un’altra, quella che insegna ad “accontentarsi” di quanto è strettamente necessario per vivere e non a creare bisogni e necessità la cui soddisfazione non sarà mai finita. In linea con Tiziano Terzani, il Mahatma Gandhi consigliava agli uomini e alle donne del suo tempo non solo di abbandonare i greeds (bramosie), ma anche di diminuire i needs (bisogni). Il “sottoproletariato” del Bangladesh, povero e illetterato, ci ricorda di essere: “olpote shontusto” (contenti del poco).

 

MI SONO CONVERTITO ALLE PARABOLE E AL RACCONTO

 

Gli anziani del “sottoproletariato” rurale del Bangladesh sono soliti esprimere i loro pensieri in “parabole”. Il linguaggio astratto sembra non faccia presa nella loro mente. E durante i primi tempi della sua koinonìa con il “sottoproletariato” bengalese questo linguaggio parabolico degli anziani è spesso irritante e a volte anche incomprensibile al nostro viso pallido europeo. Ma con il passare del tempo anche l’autore di questa riflessione non soltanto ha cominciato ad apprezzare quel linguaggio, ma gli è venuta la voglia di impararlo perché attira l’attenzione degli uditori e stimola la riflessione. La parabola o il racconto – soprattutto se breve – restano impressi nella memoria a differenza delle idee astratte che sono alquanto volatili.

IL LOGOS HA FATTO SPAZIO AL PATHOS

The last but not the least, l’impatto che il mondo asiatico ha avuto su un montanaro della Valchiavenna in provincia di Sondrio, tagliato giù con la scure e piuttosto freddo come la neve e il ghiaccio del Passo Spluga, riguarda i sentimenti e l’emotività.

Si dice che la facoltà umana che predomina in Europa sia quella del Logos, la razionalità. Mentre in Asia predominerebbe il pathos, il sentimento e l’emotività. Nei miei 43 anni a contatto con la gente del pathos mi sembra di poter dire che parecchio ghiaccio del Passo Spluga si è sciolto! Il logos ha fatto un po’ di spazio anche al pathos!

 

LUIGI PAGGI