Non fate i MISSIONARI…..:prima gli italiani!?
Andare in missione non è solo partire ma anche rientrare e rileggere il “qui” con occhi rinnovati. Franca e Patrick rientrati da alcuni mesi in Italia dopo un anno di missione in Bangladesh ci propongono una interessantissima riflessione non solo su quanto vissuto in missione ma anche su come hanno trovato cambiata l´Italia….
E’ da un po’ di tempo che Alessandra ci chiede di scrivere qualcosa per Agenda, come tema ci ha assegnato quello del rientro: tipo cosa siamo stati felici di ritrovare qui e cosa ci manca del Bangladesh…
Ed eccoci qui a offrirvi qualche piccola riflessione sul tema.
Quando siamo arrivati in Bangladesh, era tutto nuovo… almeno per Franca. Mi sono trovata a spogliarmi di ogni ruolo, di ogni conoscenza e ricominciare da capo. Come un bambino che non sa parlare, non conosce l’alfabeto, deve imparare a balbettare le prime parole… ciao, buongiorno, come stai? sei felice? Addirittura non sai mangiare come la gente del luogo …il cibo ti è sconosciuto, è molto piccante e poi creare quelle piccole palline di riso e lenticchie con le punta delle dita e riuscire a ripulire il piatto alla velocità della luce come le nostre ragazze, non ci siamo proprio, devo arrendermi alle posate, ed alle volte il piccante così forte che divento tutta rossa, mi lacrimano gli occhi, mi cola il naso. Un vero disastro.
Eppure arrivi in un angolo sperduto di un piccolo paese del sovrappopolato sub continente indiano e la gente ti accoglie. Dada e Boudi ci chiamano da subito le ragazze Munda di P. Luigi, fratello e cognata. Invece noi impariamo a conoscere piano piano i loro nomi e le loro storie, le loro grandi potenzialità e le piccole debolezze e ci accorgiamo che sono loro ad insegnarci a fare famiglia. Altro che andare a fare del mondo una sola famiglia… quello che ci è richiesto è di scoprirla laddove ci troviamo a vivere; perché il Signore ha già seminato, anche se di Cristiani in quel remoto angolo di Bangladesh non ce n’è.
Questo ora ci manca…
Al rientro in Italia siamo stati felici di ritrovare la famiglia (papà, sorelle, nipoti, zie) ed anche quella più allargata dei saveriani, laici, padri e sorelle. Le piccole cose quotidiane, come l’acqua potabile dal rubinetto, ricchezza inestimabile che noi ricchi occidentali non teniamo in nessun conto, o la possibilità di essere ricoverati in un ospedale senza nessun costo (non paghi i medici, le medicine, il cibo, il letto…nulla, cosa che in Bangladesh abbiamo visto solo all’Ospedale delle sorelle del Pime che curano i malati di lebbra e Tubercolosi).
Però ritrovo anche un clima che non è quello dell’Italia che conosco, quella in cui sono cresciuta, cui mi ha educato la mia famiglia. Sento frasi come “prima gli italiani” e mi chiedo: ma la buona educazione che vedeva prima le donne, i bambini, gli anziani e le persone diversamente abili che fine ha fatto? La cultura del prima i deboli e gli indifesi, non importa quale sia il colore della loro pelle, la loro provenienza, convinzione religiosa o politica, dove è finita? Chiudiamo i porti, e lasciamo che le navi cariche di migranti possano vagare in mezzo al Mediterraneo o essere respinte in Libia, dove i migranti vengono detenuti in carceri che assomigliano ai lager, vengono torturati, le donne violentate e molti di loro vengono uccisi e mi chiedo: ma noi non abbiamo sempre avuto una cultura dell’accoglienza? Per cui se uno bussa alla tua porta la prima cosa che gli si chiede è: “Vuoi un caffè ?”, “Hai mangiato” (“g’ha ti maià?” in veneto; tanto che si è creata la leggenda dei “vicentini mangia gatti???”). Ma che fine ha fatto il paese dove mia mamma da ragazzina, quando in questo periodo per le festività di Ognissanti e dei defunti ci portava a far visita alle tombe dei nonni al cimitero di Villasanta, e davanti all’ingresso c’erano sempre i volontari della San Vincenzo, ogni anno ripeteva che “il nonno ci diceva sempre di fare un’offerta alla San Vincenzo, perché ci hanno aiutati in tempo di guerra?” E poi ci raccontava che quando era bambina (la mamma era nata nel 1935) il nonno, che fra le altre cose faceva il calzolaio, la mandava a consegnare le scarpe riparate a qualche donna, che magari era rimasta vedova, o aveva il marito al fronte e alla domanda di mamma: quanto ti deve dare? La risposta era: tu non ti preoccupare che ci penso io. Perchè si, forse eravamo poveri, ma si poteva condividere con altri poveri come te quel poco che c’era o un piccolo servizio.
Ora invece chiusi nelle nostre belle case, con i nostri super smartphone in mano, le nostre belle e grosse macchine vogliamo dormire sonni tranquilli e l’immigrato che arriva, o il povero che bussa ci scomoda ed anche le nostre fanciulle Munda si vedono negato un visto turistico per venire a vedere un mondo diverso, come era stato loro promesso da p. Luigi. Ecco, questa Italia non siamo stati felici di ritrovarla.
Allora ci viene un consiglio da dare: NON fate i missionari, perché se fate i missionari in qualunque angolo del mondo andrete, troverete un pezzo di famiglia che vi aspetta e vi accoglie a braccia aperte, ma quando rientrate il cuore si spezzetta e rimane un pezzo in ogni angolo di mondo, e con il cuore frammentato e sanguinante non sei più a casa in nessun posto e ti guardi attorno e vedi le ingiustizie che ti circondano, quelle che magari anche noi commettiamo ogni giorno (sprecando acqua o altre risorse, senza accorgerci che così contribuiamo a distruggere questa terra che il Signore ci ha dato). E l’andare e tornare con il cuore gonfio dell’amore ricevuto, ti lascia sempre inquieto, un sassolino nella scarpa che ti fa zoppicare, perché non puoi accettare che i tuoi fratelli dall’altra parte del mondo siano costretti a scappare dalle loro terre, devastate da guerre e carestie o anche solo dalla povertà, sperando di trovare un piccolo impiego che gli permetta di mantenere la loro famiglia a casa, aiutare fratelli e figli e studiare, pagare le medicine ad un genitore anziano, mettere un tetto sulla testa e un piatto di riso sulla tavola, e noi gli chiudiamo la porta. Ecco noi che ci diciamo missionari tutto questo non possiamo sopportarlo, non possiamo non gridare contro leggi ingiuste che vengono emanate e che impediranno a chi arriva di inserirsi e integrarsi in modo dignitoso nel nostro paese, perché se crediamo che lo scopo della missione sia fare del mondo una sola famiglia, allora quel ragazzo, quella donna con il bambino al collo che sale su un barcone, o attraversa il deserto o subisce violenze, o cui viene negato un permesso di soggiorno è tuo fratello e sorella e per te tutto questo è un pugno nello stomaco che non ti fa dormire sonni tranquilli.
Davanti a tutto ciò la prima cosa che fai è invocare l’aiuto di Dio, Padre e poi ti rimbocchi le maniche, per cercare di fare qualcosa di diverso e subito ti accorgi che sono tanti quelli che si danno da fare, perché un fratello o una sorella non dormano sulla strada, abbiano un tetto sulla testa ed un lavoro dignitoso e ti
ricordi una frase sentita….”Non è la Chiesa che ha una Missione, ma è la Missione di Cristo che ha una Chiesa” e per estensione ci viene da dire che è la Missione di Cristo che ha anche noi, piccoli, poveri, incapaci e inutili servi.
Franca e Patrick