“Agenda” dicembre 2018

agenda 12-2018  https://www.laicatosaveriano.it/wp-content/uploads/2019/01/agenda-12-2018.pdf

Le Parole del Padre

Il Verbo Divino mosso di noi a pietà si fece uomo, si costituì garanzia per tutti i figli di Adamo, vittima volontaria garante per i peccati nostri, e così si placa la giusta ira del Padre, spezza le catene del no-stro servaggio e coll’Eterno ci riconcilia, ed oggi appunto egli incomincia il suo doloroso olocausto.

A Lui quindi che è venuto dal Cielo in terra per riscattarci, siamo debitori d’ogni nostro bene: della predestinazione, della vocazione, della giustificazione e di ciò che è come la corona di tutto, la glorifi-cazione.
Non senza ragione dunque ci ammaestra l’Apostolo che Gesù Cristo ci ha arricchiti con tanta abbon-danza che nulla ci può mancare di quello che noi possiamo desiderare.

L’umanità caduta nell’ignoranza e nell’accecamento aveva bisogni di un maestro che illuminasse la sua mente e le additasse i suoi alti destini ed insieme la via più sicura per conseguirli. Orbene splende oggi per Cristo, sapienza eterna del Padre, la luce all’intelligenza e per lui il mondo riconquisterà la verità che lo salverà dall’estrema rovina, liberandolo dalle ignominie della superstizione e dell’errore.

Quel vezzoso Bambinello che questo istante noi contempliamo con gli occhi della Fede circondato dagli Angeli e dai Pastori adoranti, un giorno farà udire la sua parola di vita, non ad un piccolo numero di discepoli, alle menti elette soltanto, come fecero i superbi filosofi dell’antichità, ma parlerà ai re ed ai popoli, ai grandi e ai piccoli, ai saggi ed agli idioti, in una parola agli uomini di tutti i tempi, e di tutti i luoghi un linguaggio non più udito che dovrà rinnovare l’intera compagina sociale.

Non rechi quindi meraviglia se in questo giorno auspicato i primi a fargli corona sono gli umili, i poveri, i disredati della fortuna, se sono semplici e rozzi pastori, i primi ad approfittare delle divine sue lezio-ni. I ricchi, i grandi del mondo, i potenti della terra verranno poi.

Omelia del 25 Dicembre 1927

Notizie dal mondo

Brasile

Da lontano sembra che il tempo non sia passato…
Alberto e Serena del gruppo di Parma hanno intervistato d. Giancarlo, un loro amico di lunga data, un sacerdote fidei donum della diocesi di Piacenza che é stato una vita in America Latina e che ci racconta il suo Brasile alla vigilia della sua nuova ripartenza dopo 40 di missione.

Da lontano sembra che il tempo non sia passa-to, gli stessi capelli corvini, la stessa frangia, la stessa corporatura di quando giovane curato ci portava in campeggio sul Penna con la sua im-probabile Ford Anglia.
Da vicino i segni del tempo si notano nel volto (d’altronde le primavere sono ormai settanta-cinque) e anche nel fisico quando ci precede un po’ claudicante.
Ma è nel carattere, nella consapevolezza, nella calma fermezza che noto le maggiori differen-ze rispetto al timido don Giancarlo che ho co-nosciuto ormai quarant’anni fa.
Ci ritroviamo io, lui e Serena, in una saletta del nostro Seminario dove ha studiato e insegnato per diversi anni. Don Lino mi ha chiesto di in-tervistarlo. E’ quasi un piccolo, parziale, tirare le somme della sua esperienza missionaria che a fine anno avrà termine; ammesso che esse-re missionari possa aver mai un termine.
L’esperienza in Brasile della nostra diocesi sta per finire o per lo meno quella con sacerdoti presenti in loco: occorrerà trovare nuove mo-dalità, nuovi percorsi.
L’esperienza di don Giancarlo è iniziata nel ’78. Ricordo ancora, forse a Tasola, quando ci an-nunciò la sua intenzione di partire…

Dove nasce la tua vocazione? E’ vero che volevi diventare “scalabriniano”?
La mia vocazione nasce dal mio ambiente (Pa-derna in comune di Pontenure), dalla mia par-rocchia, dalla mia famiglia. Finite le elementari risposi all’invito di padre Scaravaggi, uno sca-labriniano che girava le parrocchie per suscita-re vocazioni che seguissero le orme del beato Scalabrini. Feci un mese fra questi padri, a Cermenate ma non mi considerarono adatto a motivo della mia gracilità (oggi la cosa fa ve-ramente sorridere, NdR). Il mio parroco allora mi consiglio il Seminario di Bedonia dove, per via dell’aria buona”, avrei avuto benefici anche per la mia salute.

In Seminario a Bedonia sei stato tanti anni sia come alunno che come insegnante…
Infatti la mia vita era ormai andata in un’altra direzione, il mio sogno di missione sembrava definitivamente tramontato. Iniziai ad insegna-re dopo aver preso anche la laurea in lingue presso l’Università di Parma. Passai poi a fare il coadiutore di mons. Squeri in parrocchia a Bedonia ma arrivò l’appello di mons. Manfredini che chiese la disponibilità a partire per la mis-sione diocesana a don Luigi Mosconi e don Al-fonso Calamari. Fu nella veglia di Pentecoste del 1977, accanto al grande cedro che “fa la guardia” al Santuario della Madonna di San Marco che decisi di accettare questo invito e scrissi al vescovo.

Quali furono le motivazioni di questa tua scelta?
Le motivazioni furono sostanzialmente due: l’attrazione per la bellezza della vita comunita-ria dei preti, che traspariva dalle lettere che i missionari inviavano; il desiderio personale di incontrare Cristo attraverso i poveri.

Poi finalmente la partenza, nel 1979, Vito-ria da Conquista, Bahia. Qual è stato il pri-mo impatto con il Brasile. Noi abbiamo in mente il Brasile del carnevale, delle spiag-ge immense, della natura strabordante, delle belle donne e naturalmente del cal-cio…qual è stato invece il tuo “primo Brasi-le”, cosa ti ha colpito?
Le comunità ecclesiali di base. Nacquero nel ’68 dopo l’incontro latino-americano di Medellin. Don Mosconi le fece partire anche a Vitoria. E’ un modo diverso di essere chiesa, dove vi è un forte legame fra la fede e la vita. La vita della comunità non è semplicemente la celebrazione liturgica ma è la vita stessa della gente con le proprie difficoltà e i propri problemi. Il Vangelo illumina la vita e dà coraggio anche per lottare per il riconoscimento propri diritti, non sempre rispettati in Brasile.
Io arrivai con uno stile più “religioso”, più “ri-tuale” ma la gente mi coinvolse e io mi lasciai coinvolgere. La mia vita era di fatta di visite, visitavo le gente dove viveva, dove lavorava, dove spaccava le pietre con il martello, dove le donne lavavano i panni. La sera ci trovavamo insieme nelle riunioni delle comunità.
Erano riunioni condotte dalla gente stessa ed io, più che altro, ero presente ed ascoltavo e cercavo di mettermi in sintonia con loro. Que-sta fu un’esperienza “marcante” per me, molto forte. Questa fu la mia esperienza di Vitoria da Conquista.

Dopo Vitoria da Conquista, Picos nel Piuaì. Esperienze diverse? Realtà diverse?
Si, realtà molto diverse. Li trovammo un ve-scovo molto semplice, molto legato alla gente, molto coinvolto nei problemi della gente. Era, infatti, il presidente della “Pastorale della terra” (organismo delle Chiesa brasiliana, NdR), dom Augusto Rocha, tutt’ora vivente.
Nella parrocchia dove eravamo, Giunco, alla periferia di Picos, sostituimmo i Comboniani ma trovammo, fortunatamente, una congregazio-ne di suore che viveva la vita dei contadini. Abitavamo all’interno. Nella regione vi era una netta divisione fra il tempo delle piogge e quel-lo estivo. La gente abitava in città ma nel pe-riodo dei lavori agricoli si spostava nella loro capanna fra i campi. Le suore facevano questa vita, spostandosi fra la città e la campagna. Ci siamo integrati molto bene. Iniziai questa espe-rienza nel Piauì con don Giuseppe Calamari (ora parroco di Ferriere ma lo ricordiamo an-che a San Rocco di Borgotaro, NdR). Don Giu-seppe aveva uno stile molto attento alla gente partecipando la loro vita e al loro lavoro, aveva uno stile di prossimità con la gente. Penso sia la maniera migliore per evangelizzare, farsi prossimo per la gente, tutto il resto viene di conseguenza…

Ma le realtà di Vittoria e Picos erano molto differenti?
Diverse per clima, come agricoltura ma anche lì c’era l’esperienza delle comunità di base. Ci siamo subito integrati con la gente, nelle loro lotte. Vi era la realtà della fabbrica del cotone che era molto coltivato. Nella nostra parrocchia vi era questa fabbrica e vi erano spesso pro-blemi fra gli operai e i padroni. La gente ci coinvolgeva, ci voleva vicini in queste lotte per i loro diritti. Questo ha segnato la nostra pre-senza là: essere solidali nelle loro lotte concre-te, per ottenere quello che era giusto.

Poi sei rientrato per un periodo in Italia…
Sono rientrato in Italia per cinque anni, nell’88, per i problemi di salute di mio padre che poco dopo è morto. In questi anni ho diretto il Cen-tro missionario diocesano.

Ancora in Brasile nel 1994…
Dato che non vi erano altri sacerdoti disponibili, sono ripartito per tornare nel Piauì ma non più a Giunco ma a Pio IX a circa 150 km da Picos. La scelta di Pio IX nacque dal fatto nel frat-tempo erano stati ordinati alcuni sacerdoti locali e scegliemmo di lasciare questi preti “novelli” più vicini al loro vescovo. Inoltre la nostra scel-ta fu sempre quella di dare la disponibilità per i posti più disagiati.

Nel 1997, infine, si apre la missione in Ro-raima…
La missione diocesana in Roraima nasce quan-do ero direttore del centro diocesano.
Nel ’90 ho feci un viaggio in Brasile per visitare i missionari piacentini. Andai anche a Boavista (capitale dello stato di Roraima, ndr) dove era parroco don Franco Piccoli, missionario della Consolata. Visitai il vescovo di là, don Mongia-no, che mi chiese di mandare un prete per la formazione dei preti diocesani: allora la diocesi di Roraima non aveva propri sacerdoti, tutto era retto dai missionari della Consolata. Per formare sacerdoti diocesani ci volevano sacer-doti diocesani e non padri missionari. Per anni non siamo riusciti a dare una risposta perché non c’era nessuno disponibile a partire nono-stante le continue insistenze del vescovo. Poi durante un incontro di tutti i missionari piacen-tini in Brasile a San Luis, don Aldo Mongiano venne ancora per rifarci la proposta e così nel ’96 il vescovo Monari venendo in Brasile fece la proposta a me che accettai. Nel frattempo il vescovo Mongiano si era ritirato per l’età e vi era un nuovo vescovo a cui scrissi dando la disponibilità ma facendogli anche presente che non avevo nessuna esperienza di lavoro con i popoli indigeni che rappresentavano la maggior parte della popolazione di Roraima. Il nuovo vescovo però mi chiese di andare comunque.
Andai con don Giuseppe Castelli che rimase lì due anni mentre io ci sono tutt’oggi.
Iniziammo con il seminario, una sorta di prepa-razione al seminario maggiore che si trovava a Manaus ad 800 km. I ragazzi che arrivarono venivano dall’interno dove avevano frequenta-to scuole molto carenti per cui avevano biso-gno anche di migliorare le loro conoscenze di base. E’ stata una bella esperienza di studio ma anche di lavoro nelle officine dei Missionari della Consolata.
Nel fine settimana vi era quest’area della citta-dina di Cantà dove stavano affluendo contadini da altre aree del Nord-est brasiliano. Qui non vi era nessun sacerdote fisso e la gente, specie per le feste, domandava preti per la messa o per i battesimi. Alcune volte sono andato anch’io, rendendomi conto che quella presenza sporadica non era sufficiente per una pastorale che potesse minimamente incidere. Diedi allora la mia disponibilità per andare in questa zona almeno una volta al mese. Io andavo con i se-minaristi che stavano nel cassone della camio-netta. Durante il mio percorso la gente di altre piccole comunità scoprirono questo mio incari-co e vennero per dire che anche loro si riuni-vano ed avevano bisogno di un sacerdote. In questo modo nacquero tante comunità, dalle quattro-cinque inziali siamo ora a ventotto. E’ un’area grande da un estremo all’altro sono circa 300 km. Ne ho fatta di strada!
Nella Bahia o nel Piauì la facevo anche a piedi o a cavallo! Su quella sabbia calda che scottava i piedi… All’inizio andavo a piedi anche a Roraima per andare nelle comunità indigene dove si ar-rivava solo così. Nel 2002 ho fatto un’operazione e da lì in poi…solo macchina. Ora tutte le comunità di Roraima si raggiungono in auto, solo le comunità indigene sono ancora senza collegamenti.

La gente occupa un posto e poi arriva la strada?
Si, la gente chiede al governo un terreno. Ven-gono assegnati 100 ettari. Venti possono esse-re disboscati e gli altri devono essere lasciati a foresta.

Quindi c’è un’attenzione alla foresta, al ri-spetto per l’ambiente?
La legge c’è ma fra la legge e la sua applica-zione…c’è spesso un’estrazione illegale del le-gname prezioso della foresta.
Comunque…inizialmente non esistono strade, “i coloni” fanno un sentiero nella foresta e devo-no raggiungere a piedi i terreni a loro concessi. Poi viene aperta la strada che però è transita-bile solo in determinati periodi dell’anno e non certo durante la stagione delle piogge. Infine, poco alla volta le strade si migliorano e diven-tano sempre transitabili. Da quando sono arri-vato in Roraima ad adesso la situazione delle strade è molto cambiata!

FINE PRIMA PARTE

Vita di Famiglia

Desio
Cant
Riapre il Cant: centro Notturno di Accoglienza Temporanea, che vede i laici saveriani impegnati come volontari nella gestione della struttura.

Ha aperto a metà novembre il dormitorio not-turno per persone in difficoltà presso i missio-nari saveriani di Desio. Come ormai succede da parecchi anni, per tutta la stagione invernale fino ad aprile ci sono a disposizione 8 letti per chi è senza casa e non sa dove dormire. La struttura è già quasi al completo, pur essendo aperta da poco. Al momento, infatti, sono ospi-tate 6 persone. Si tratta di uomini, tutti italiani. La loro storia è simile: la maggior parte sono padri separati, che hanno perso il lavoro e non hanno più alle spalle una famiglia su cui conta-re. Si trovano così, improvvisamente, in mezzo alla strada, senza punti di riferimento. Un vero e proprio dramma per chi non è abituato a chiedere aiuto.
Senza casa, senza lavoro e spesso senza più parenti disposti a dare una mano, queste per-sone cadono nello sconforto. Sono i nuovi po-veri. Succede, purtroppo, in molte città d’Italia e Desio non è esente da questo fenomeno. Per loro e per tutti coloro che non ha più nulla, ora c’è almeno un tetto, per i mesi più freddi.
Il Centro Notturno di Accoglienza Temporanea (Cant) è gestito da volontari, organizzati in una onlus che si chiama, appunto, “Cant”. Il dormi-torio è aperto tutte le notti, tutti i giorni della settimana. Gli ospiti possono entrare nella struttura nel tardo pomeriggio. All’ora di cena, viene loro servito un pasto caldo. E al mattino hanno la colazione pronta. Durante il giorno, però, devono lasciare la struttura, come pre-vede il regolamento. Gli ospiti, prima di essere accolti, devono avere un colloquio con le assi-stenti sociali del comune. Il dormitorio è un progetto finanziato dal comune di Desio e di Seregno: i posti letto a disposizione sono riser-vati alle persone che sono seguite dai due co-muni e dai comuni dell’ambito di Desio. Per l’amministrazione desiana il progetto ha un co-sto di 10 mila euro. Al dormitorio c’è sempre un custode. Sono presenti poi i volontari, che tutte le sere, a turno, fanno visita agli ospiti.

Ancona

Sulla strada da poveri

“SULLA STRADA DA POVERI”: così titolava il grande manifesto che venerdì 16 novembre ha attraversato parte del centro di Ancona. Que-sto è anche il titolo che la Chiesa di Ancona Osimo ha scelto per l’iniziativa realizzata per celebrare la Seconda Giornata Mondiale dei Po-veri, indetta nella bolla da Papa Francesco a conclusione del Giubileo della Misericordia “Mi-sericordia et misera” (n.21). “Sulla strada da poveri e con i poveri” è stato quello che ab-biamo vissuto anche noi del Laicato Saveriano assieme ai tanti operatori della Caritas, della mensa Padre Guido, ai giovani del movimento dei Focolari e della Pastorale giovanile.
La parola che può riassumere il tutto è condivi-sione; la serata è cominciata da piazza Pertini con un corteo che si è spostato verso la par-rocchia dei Santi Cosma e Damiano, durante il quale si è ascoltato parte del messaggio che il papa ha inviato per questa giornata e che quest’anno prendeva il via dalle parole del Salmo 34 “Questo povero grida e il Signore lo ascolta”.
GRIDARE” è stata la prima tappa, che corri-sponde al primo verbo che il Papa ha portato
all’attenzione di tutti nel suo messaggio. Si è ascoltato il grido di alcuni poveri, le testimo-nianze di
Seidu Ba, che attualmente vive nella Casa Zac-cheo, presso l’opera-segno “Beato Gabriele Ferretti”, e di Giuseppe. Sì il grido! L’obiettivo era infatti quello di gridare per le città al fine di scuotere le coscienze indifferenti della società.
Il secondo verbo portata all’attenzione di tutti è stato: “RISPONDERE!” Questo è stato il
momento della cena e della festa presso il tea-trino della parrocchia dei Santi Cosma e Da-miano in cui poveri, operatori, giovani, semina-risti, sacerdoti e il nostro vescovo Angelo han-no condiviso allo stesso tavolo il tempo della cena all’insegna della condivisione e della festa. Proprio a tavola, di fronte allo stesso bisogno di cibo tutte le barriere che la società pone tra “poveri e non” vengono meno e ci si sente tutti allo stesso livello. La festa è proseguita con una tombola organizzata dalla Caritas e dalla Pastorale Giovanile con tanti bei premi.
Verso le 21:00 ci siamo spostati in chiesa per un momento di preghiera guidato dal nostro Arcivescovo Angelo e animato con i canti da alcuni giovani. Questo momento è stato guidato dal terzo verbo presente nel messaggio ovvero “LIBERARE” consapevoli che il Signore libera il povero che grida da tutte le sue angosce.
Il brano evangelico che si è meditato insieme è stato la guarigione di Bartimeo, cieco di Gerico (Mc 10,46-52). Mons. Angelo Spina nel corso della sua riflessione ha posto l’attenzione su chi siano i poveri: dolore, emarginazione, sopruso, violenza, torture, prigionia e guerra, privazione della libertà e della dignità, ignoranza e analfa-betismo, emergenza sanitaria e mancanza di lavoro, tratta e schiavitù, esilio e miseria, ecc., sono i “mille volti” della povertà. Ha ricordato come verso i poveri, spesso «alziamo muri e recinti, pur di non vederli e non toccarli, dall’alto della nostra “ricchezza” sfacciata. Bar-timeo sentendo che passa Gesù si mette a gri-dare: “Gesù figlio di Davide, abbi pietà di me!”. È un povero che si ritrova privo di capacità fondamentali quali il vedere e il poter lavorare.
Come lui, tanti sono oggi i poveri lasciati ai bordi della strada in cerca di aiuto e di senso alla loro condizione. Sono caduti in fondo ad un abisso e non riescono ad uscirne. Sono lì a mendicare nella speranza che qualcuno si avvi-cini».
Ciò che in questa serata in tanti abbiamo spe-rimentato è stato proprio il fatto di sentirsi compagni di viaggio dei poveri, hanno speri-mentato che la condivisione e l’amicizia con il povero salva perché Dio ascolta il loro grido.

Salerno
Insieme è bello
Altro incontro con “testimoni” nella casa saveriana di Salerno

La silenziosa lotta alla schiavitù di strada
Il 13 Novembre ha avuto luogo l’appuntamento mensile con i Testimoni che la Casa Saveriana di Salerno propone per sensibilizzare coscienze e condividere esperienze. Questo incontro si è svolto, ancora una volta, in una sala gremita di ascoltatori, tutti richiamati dalla carismatica figura di Sr. Rita Giaretta delle Suore Orsoline, che da anni è impegnata nel territorio di Caser-ta, accanto alle donne sottratte alla tratta. Ec-co alcuni passi davvero salienti di questa sua testimonianza che sgrana il racconto di una quotidianità segnata dall’azione di prossimità, fatta di ascolto, accoglienza, sostegno, confor-to e aiuto anche materiale.
Stando tra il pubblico, in ascolto di questa sto-ria di vita ho pensato a quante donne l’hanno sovrapposta, in toto o in parte, alla propria esperienze personale. Sicuramente, la modalità di racconto che Sr. Rita offre ai suoi ascoltatori è tale da farla diventare esperienza personale. La forza della sua testimonianza risiede nella credibilità di una persona che incarna ciò in cui crede, con opere e fatti concreti a cui, in que-ste occasioni, dà voce per condividerne ric-chezza e peso. Sr. Rita racconta: “Arrivate qui (a Caserta) abbiamo poggiato lo sguardo sul tante ragazze, ragazzine che abitavano la strada. Avevamo già la risposta pronta: “fanno soldi col mestiere più antico del Mondo”, eppu-re il Vangelo mi inquietava e la mia risposta non mi bastava: può una ragazza lasciare la sua terra per vivere esperienze come queste sulla strada? Su quella strada, che è anche il luogo più vissuto da Cristo, dove hanno avuto luogo incontri, abbracci e lacrime che oggi so-no segni indelebili nella mia memoria”.
Ad un certo punto della sua testimonianza, Sr. Rita fa memoria: “Era l’8 marzo, festa della donna, anzi no, giornata della donna , istituita per fare memoria di quante soffrono e hanno sofferto. Era l’8 marzo quando noi orsoline abbiamo deciso di donare un fiore a queste donne che sono sulla strada a tutte le ore del giorno, imprigionate nel dramma quotidiano del commercio del proprio corpo. Quel giorno, queste donne sono state visitate da altre don-ne, sorelle e amiche, che le hanno omaggiate con un fiore. Eppure c’è stato detto che quello non era posto per noi, forse perché noi suore siamo rilegate solo a luoghi di culto e cateche-si? Da quella volta, ogni mercoledì siamo an-date a trovarle, ci attendevano, ci chiedevano anche di parlare del Vangelo ed è così che ab-biamo capito che quello che vivevano non era un lavoro da cui si riceve profitto, ma erano oggetto di una schiavitù che porta morte, po-vertà, solitudine, sfruttamento e assenza di dignità”.
La testimonianza diviene esempio: “Abbiamo dovuto aiutare i cittadini e i condomini a smontare le paure e le diffidenze che si erano innescate quando le ragazze sono state accolte in appartamenti in centro città. Un atteggia-mento educato e rispettoso ha dimostrato che erano donne che desideravano una vita vissuta con dignità; così abbiamo prodotto un cam-biamento, si è passati dal dispetto del campa-nello suonato per darci fastidio, alla bussata per mano di una mamma che ha voluto incon-trarci per omaggiare la nostra gentilezza e offrirci un lavoro da baby sitter affidandoci suo figlio (l’essere più prezioso per quella mamma). Noi suore qui a Caserta abbiamo portato il nostro carisma, la nostra spiritualità e sospinte dalle ragazze stesse abbiamo colto il segno dei tempi: ci siamo aperte e abbiamo dato vita a Casa Rut, in città e non in campa-gna, perché la città con le sue istituzioni e le sue realtà si deve porre a sostegno dei deboli, con cervello e cuore”.
Sr. Rita ci racconta poi la storia di Martina, fanciulla della Moldavia, caduta nella trappola della tratta quando era ancora minorenne, fi-nendo nelle mani di sfruttatori. Martina, da quella prigionia si è liberata, denunciando i suoi aguzzini, sebbene sia rimasta segnata da una gravidanza che le ha generato tante paure da spingerla verso quel pensiero: buttare suo fi-glio, ovvero abortire. La vicinanza e il sostegno di una “famiglia” di suore hanno però portato questa giovane donna ad accogliere liberamen-te questa nuova vita, questa nuova speranza. Martina oggi è la presidente della cooperativa New Hope e sua figlia è una vivace adolescen-te.
Sr. Rita conclude il suo intervento all’assemblea silenziosa, dicendo: “Non proponiamo percorsi di assistenza, ma accompagniamo queste vite frantumate che si possono ricucire col filo del coraggio e della speranza, che porta a dar vita a capolavori che si traducono, nella nostra sartoria etnica, in segni di rinascita. Nella Ter-ra dei fuochi, le donne schiavizzate dalla tratta si sentono scarto, rifiuto, ma se sostenute con percorsi individuali di libertà possono rifiorire. La borsa della speranza e il grembiule del ser-vizio sono creazioni utili che portano ad un insegnamento molto forte: non c’è scarto che non possa fiorire. Questo progetto di libertà può essere accompagnato dalla nostra libera scelta di sostegno”.
Infine, Sr. Rita parla a tutti gli uomini presenti in sala: “Il maschio deve guardarsi dentro, comprendere le sue fragilità, affacciandosi al pozzo della sua umanità per incontrare la mise-ricordia di Dio e forse approcciarsi diversamen-te alla figura femminile …così non ci sarà più bisogno di Casa Rut o di altri simili luoghi”.
L’incontro della platea con Sr. Rita Giaretta, si arricchisce anche della presenza di Blessy che si è presentata così: “Sono una ragazza accul-turata, laureata, e mai avrei pensato che a me potesse capitare di cadere nel traffico di esseri umani. In un momento, i miei aguzzini mi han-no ridotto a prodotto da vendere e buttare. Ho capito la paura di tante ragazze quando mi hanno detto “inizi il tuo lavoro stasera” e quan-te domande, incertezze, senso di tradimento e desiderio di chiedere aiuto e disperazione sono affiorati in un tempo lungo di smarrimento. “Ci si abitua” così, con flebile voce, mi dicevano le altre ragazze della strada. Sono stata così abi-tata dalla rabbia nel vedermi come prodotto in vendita in un paese che si dichiara democrati-co, rispettoso della libertà e della dignità uma-na”.
Blessy ringrazia Dio perché ci sono state per-sone che si sono gratuitamente impegnate per la libertà e la dignità di altri esseri umani, seb-bene porta nel suo cuore questo dubbio: “Per-ché un uomo nato in un paese sviluppato deve pensare di comprare ed usare un’altra perso-na? Se questa è la cultura, va combattuta in-sieme perché non deve esistere da nessuna parte del mondo. A casa Rut mi hanno aiutato ad aprire la mia bocca chiusa che si è aperta a denunciare le ingiustizie che portano alla mor-te. Qui ho sperimentato amore ed accoglienza. Insieme rompiamo l’illegalità, combattendo la tratta degli esseri umani. È una battaglia che deve coinvolgere tutti, perché riguarda tutti. Da soli non si va da nessuna parte! Le donne della strada chiedono in silenzio un aiuto che possa rompere le catene invisibili della loro schiavitù. Quante grida silenziose e lacrime in-visibili anelano la libertà”. Ovviamente l’incontro si è concluso in un fragoroso applauso per chi oggi ha il coraggio di testimoniare che si può fare il Bene e che si deve denunciare ogni azione del male
Marta Chiaradonnna

M
Assemblea Ad Gentes e AMeV,
1-4 novembre 2018 a Tavernerio
Partire per accogliere, per coinvolgere

L’animazione misionaria va “pensata” e spesso anche “ripensata”, per questo periodicamente alcuni di noi si incontrano per riflettere, analizzare ed elaborare… a noi tocca far buon uso di tutto questo lavoro.

Si è svolto a Tevernerio, in forma congiunta, un momento assembleare molto interessante tra le commissioni Ad Gentes e AMeV, che ha offerto molti spunti per essere oggi, significati-va presenza nella società italiana che vive non poche criticità. Tre giorni di lavori per definire, insieme con i Laici Saveriani, le Sorelle Save-riene e i membri del loro laicato, un Progetto Nazionale per essere segno di accoglienza in luoghi di presenza.
Le giornate sono state scandite da relatori che hanno piacevolmente provocato l’assemblea, descrivendoci anche esperienze di accoglienza in cui sono personalmente impegnati nei loro territori di provenienza.
Roberto D’Alessio, figura autorevole del mondo cooperativo della Brianza, ci ha invitato a riflet-tere sulle modalità in cui il mondo missionario può entrare in sinergia coi presidi di accoglien-za presenti sul territorio.
A noi Missionari Saveriani, che conosciamo la terra di provenienza di tanti migranti, Roberto invita ad essere ponti per favorire lo sviluppo di quelle terre e mediare le situazioni che molte volte, in Italia, si generano intorno al fenomeno migratorio.
Il Prof. Maurilio Assenza – Direttore Caritas Diocesi di Noto e Responsabile della Chiesa di Modica – ci ha invitato a smuovere la pigrizia pastorale vigente, così come Papa Francesco ha indicato nel messaggio del mese missionario straordinario del 2019. Egli ha presentato i mi-granti come la visita di Dio all’occidente: sono indicatori della via di salvezza, “cattedra del futuro dell’umanità” da cui attingere per la no-stra vita.
Maurilio ha descritto la realtà di Pozzallo, della Casa Don Puglisi e del Cantiere educativo “Cri-sci Ranni”. Ha invitato tutti i presenti a speri-mentare l’accoglienza del mondo migrante che arriva a noi, con la ricchezza maturata negli anni di missione all’estero, durante i quali ab-biamo acquisito la conoscenza della lingua e della cultura di un popolo che, in primis, ci ha accolto. Il Direttore ha sottolineato che ogni nostra azione deve essere priva della presun-zione di cambiare il mondo, ma consapevole di poterlo orientare. Alla luce della sua esperienza di docente e di uomo di servizio nella realtà della Casa Don Puglisi, a suo dire, i giovani di questo tempo vanno maturando pezzi di van-gelo, seppur non frequentano la messa dome-nicale, ma su di essi opera il dono dello Spirito Santo. Sono meno ecclesiastici, ma pur sem-pre da Regno di Dio.
Fr. Alberto Parise, comboniano, ha presentato le dinamiche pastorali da mettere in campo con i giovani. Ci invita a ripartire dalla missione perché il giovane che vive un’esperienza di missione ad extra prova sulla propria pelle quelle emozioni che sciolgono ogni secolarizza-zione, aprendosi all’incontro con la fede, senza dar più ascolto a ciò che la sua società procla-ma, perché sa dentro di se, per esperienza diretta, cosa significa vivere un incontro auten-tico. Dinamica significativa del viaggio è sicu-ramente l’incontro con un modo diverso di vi-vere (anche la fede), sperimentando il primato della relazione, poiché dall’incontro col povero, sperimenterà sicuramente la condivisione del poco che si ha, apprezzando così che l’essere è più importante dell’avere. Inoltre, in missione, il giovane fa esperienza di una fede pubblica, vissuta nel concreto, in modalità comunitaria ed avvia così la decostruzione di ciò che allon-tana dalla fede e può scoprire modalità nuove per viverla, anche nell’apprezzamento dell’alterità. Sentiamo sempre più dire dalle Diocesi attente e sensibili: “dobbiamo fare qualcosa”, che si traduce in azioni pastorali in luoghi di accoglienza per i richiedenti asilo, da mettere in campo radunando più figure intorno al tavolo di lavoro
(Caritas diocesana, istituti religiosi, laici) per dar vita ad esperienze che possono cambiare la percezione che la comunità locale cristiana ha di certe presenze sul suo territorio.

Sintetizzando in breve, tutto il discorso, ecco i punti salienti da cui partire:
• Accettare ed assorbire il cambiamento della realtà;
• Noi missionari che siamo qui, dobbiamo avere una presenza diversa;
• La dimensione ad gentes è per tutti, il criterio geografico non vale più;
• Abbandoniamo la corrente del “Negazio-nismo” alla Missione da vivere qui in Eu-ropa;
• Rendere le comunità internazionali;
• Ripartiamo dalla missione;
• Evangelizzazione ed Animazione missio-naria si sovrappongono, quale facce di una stessa medaglia;
• Incontrare i giovani secondo le loro mo-dalità e in luoghi informali;
• Pastorale Giovanile Missionaria quale espressione di Chiesa in uscita.

Il nostro stile pastorale sia Testimonianza e coerenza di vita, di chi sa mettersi realmente in gioco, incarnando l’esempio di Cristo. Questo si traduce in accoglienza nei nostri spazi che sia incondizionata e che comunichi la fraternità che viviamo.
Tutta la ricchezza di questi contributi e i frutti dei dibatti di gruppo e della condivisione as-sembleare sono stati convogliati in questa pro-posta

Progetto Nazionale Ad Gentes / AmeV

1. Diamo vita alla COMMISSIONE GIUSTIZIA e PACE
2. ACCOGLIENZA CONCRETA
Ogni comunità deve porsi il problema dell’accoglienza , valutando il passo che può sostenere. Alcune comunità potrebbero offrire disponibilità per attivare progetti di accoglienza, altre potrebbero interagire anche con altri luo-ghi già preposti all’accoglienza da parte di altre realtà territoriali. Sarebbe significativo vivere i luoghi della “presenza” in cui la relazione non è da professionisti ma da cristiani.
3. INSERIAMOCI NELLA CHIESA LOCALE
Cerchiamo di contaminare le azioni pastorali con contenuti missionari, con la mentalità che viene da altri modi di vivere la chiesa che il Missionario può testimoniare, favorendo arric-chimento culturale
4. PARROCCHIA MISSIONARIA
Lo sguardo sia sempre volto oltre il campanile, creando comunione sul territorio così come av-viene in missione.
5. MISSIONE AD EXTRA
Continuiamo a proporre ai giovani esperienze missionarie, strutturate su una progettualità condivisa tra chi parte e la comunità che acco-glie, per vivere esperienze in stile di comunione ampliando gli orizzonti anche su tematiche di giustizia, pace, fede.
6. SCUOLA
Luogo di incontro privilegiato con i giovani, ma anche di relazione con tanti altri ( famiglie e professori).
Si possono proporre, ai dirigenti scolastici degli istituti superiori, le mostre tematiche che ab-biamo in dotazione e proporre agli insegnanti di religione un progetto interculturale ed interreli-gioso, ben chiaro e preciso. A relazione conso-lidata, può seguire la proposta a vivere un weekend nelle nostre strutture come momento formativo ed aggregativo.

La fase finale dell’incontro ha visto poi la veri-fica delle attività estive e l’elaborazione del ca-lendario dell’ESTATE 2019, nel quale si rinnova-no gli appuntamenti con la MISSIONE AD EX-TRA in Albania e Congo, l’esperienza di relazio-ne col centro di accoglienza dei giovani migranti in Siracusa. Intanto ci diamo appuntamento a Parma il 7 Dicembre/8 Dicembre 2018, per prendere parte all’Ordinazione diaconale.
Marta Chiaradonna

Programma convivenza invernale

BACHECA

Dina sorella saveriana della comunità di Cava dei Tirreni, che tante esperienze ha vissuto con il gruppo del Laicato e la comunità dei Padri di Sa-lerno, dopo anni di servizio generoso muove i suoi passi verso una nuova destinazione.
Un saluto affettuoso e commosso da tutti noi e gli auguri di buon lavoro e serena vita.

Il 14 Dicembre sarà un anno dal giorno in cui Nuccia ci ha lasciati, per andare ad ingrandire il gruppo dei Laici saveriani “senza tempo”, affiancando Michele.
Ci sarebbe molto da scrivere e Nuccia ne sarebbe stata ben capace. Noi ci abbiamo provato più volte ma non riuscendoci chiudiamo gli occhi e sentiamo la loro presenza sorridente che ci incoraggia.

Auguri di Natale
Nel Bambino di Betlemme, Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. In questo Bambino, Dio ci invita a farci carico della speranza.
Ci invita a farci sentinelle per molti che hanno ceduto sotto il peso della desolazione che nasce dal trovare tante porte chiuse.
In questo Bambino, Dio ci rende protagonisti della sua ospitalità.
(Papa Francesco, 24 dicembre 2017, Santa Messa della Notte)

Accogliamo con gioia il ritorno di questo appuntamento annuale, con l’augurio che sia per ciascuno momento di pace, di fraternità e di speranza.

Associazione “Laici Saveriani Ad Gentes”
Organizzazione non lucrativa di utilità sociale – ONLUS
Via Fra Acquaviva, 4 – 84135 Salerno – C.F. 95073720658

Per offerte e contributi:
C/C bancario intestato a: Associazione Laici Saveriani Ad Gentes – Onlus
IBAN: IT 59 L050 1803 4000 0000 0511 600 presso Banca Popolare Etica
C/C postale n. 12182317 intestato a Banca Popolare Etica
Causale: contributo su C/C 511600/J a favore di Associazione Laici Saveriani Ad Gentes – Onlus

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