Roma 5 novembre : In cammino per la Pace

Il 5 Novembre c’eravamo anche noi a Roma con il viso entusiasta di Angela e di Mirella.

Quando siamo partiti da Salerno pioveva. Giunti a Roma, complice il vento d’autunno, il cielo si era schiarito e a piazza della Repubblica, il luogo del raduno della marcia, si respirava proprio un’aria famigliare tra la gente che continuava ad arrivare con zaino in spalla, striscioni, bandiere della pace.  E quanto più la piazza si affollava più emergeva un altro tratto comune: i capelli grigi della maggior parte dei convenuti.  Qui il 5 novembre questo tratto pareva lanciare una sfida alla rassegnazione generalizzata e un invito alla speranza, quella fondata sulla convinzione che ciò che stai facendo ha certamente un significato, è valido per la vita di ciascuno al di là del successo o meno. Han detto che eravamo in 100mila lungo il percorso della marcia. E quelli che si univano anche con un saluto dalle finestre dei palazzi romani a chi procedeva a piedi? E quelli che non potevano esserci ma che avrebbero voluto? A tutti costoro era dedicata la scritta su un piccolo ma efficace cartellone: ”Manifesto anche per chi non può essere qui”. E su un altro cartellone si leggeva una chiara modalità di azione molto praticata al giorno d’oggi: ”Prima  gli vendiamo le armi poi accadono le guerre  dopo arrivano i profughi…” senza considerare altre conseguenze. Ma si sa! Quello che la logica della guerra mette in campo e produce rimane sconosciuta ai più se si escludono immagini e racconti, finalizzati, anch’essi spesso, a teorizzare la violenza nella storia umana.

Le 59 guerre presenti oggi nel mondo, almeno quelle dichiarate, dicono anche che gli strumenti utilizzati sono sempre più sofisticati.  E la pace rimane un desiderio non una scelta di vita, urgente, che riguarda ogni persona con le sue emozioni, idee, parole, gesti, credo religioso, insomma un autentico percorso di vita da fare insieme. Allora buon cammino ad ognuno e a tutti noi intanto che avanziamo a passo lento ma deciso…  

 Angela Marano

Piazza della Repubblica.

La mia prima sensazione, arrivando in piazza, è lo stupore nel vedere tante bandiere, striscioni, scritte colorate che, con sfumature ideologiche diverse, convergevano intorno ad una sola richiesta: costruire la pace.

La mia seconda sensazione è il piacere di ascoltare canzoni, musiche suonate da piccole band di strada, e cori di piazza che convergevano sullo stesso desiderio.

Terza impressione: abbandonare il timore, nato da un mio pregiudizio, che alla manifestazione avrebbero partecipato solo adulti e anziani. E invece no, anche giovani e famiglie con bambini che festeggiavano con l’ingenuità di chi non coglie le difficoltà del problema, ma afferra l’essenza del desiderio condiviso.

Piazza San Giovanni in Laterano.

Lì si sono succeduti i discorsi, tanti, forse troppi, ma quello che più mi ha scaldato il cuore è stato l’intervento don Luigi Ciotti che, tra l’altro, ha ricordato le parole di don Tonino Bello che, nel 1982, affermava di essere preoccupato di un’Europa sempre più cassa comune invece di casa comune, sempre più di mercanti che non di fratelli. 

Ciotti, inoltre, ha invitato a diffidare delle coscienze pacificate, sedute sulle loro certezze nell’incoscienza dei propri limiti perché le coscienze pacificate sono le madri dei conflitti.

Cosa non voglio considerare di questa esperienza: le polemiche inutili e faziose che riguardavano le modalità delle due grandi manifestazioni italiane, la sfilata dei politici che facevano di tutto per non passare inosservati in strada, la stanchezza di fine serata che implacabile mi costringeva a contare i miei anni.  

Tra i tanti motivi per cui ero andata a Roma, quello che sembrerà il più banale a chi legge questo breve racconto ma che per me è il più importante: dire tra qualche anno ai miei nipoti, Gioele e Camilla, che la nonna era in piazza a sognare la pace anche per loro. 

Mirella Giannattasio

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