La missione: arcobaleno tra uomo e Dio. (con slider della conferenza)

 

Giovedì 9 maggio presso la Casa dei padri Saveriani di Salerno, P. Mario Menin ha tenuto un’interessante relazione sulle nuove modalità di missione. Due le domande alle quali P. Mario ha cercato di rispondere: quali novità nello stile e nel significato della missione? In quale direzione si dovrebbe procedere?

Una prima risposta è venuta da una considerazione riguardante la differenza tra quanto proposto dai due predecessori di Papa Francesco (Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), rispetto alle linee tracciate in questi ultimi anni dal Santo Padre: il passaggio da una missione rivolta alla “nuova evangelizzazione”, ad una missione fatta “per attrazione”. Non più quindi, o non solo, avere tra i primari obiettivi la ri-evangelizzazione dei grandi Paesi di tradizione cristiana, in particolare l’Europa e l’America latina mediante un’opera di annuncio, ma considerare la missione come un insieme di cristiani che incarnano il vangelo, e quindi attraggono, le persone in mezzo alle quali vivono.

Missione come attrazione, “stare con”, mostrare Cristo con la propria vita a chi non ne conosce la bellezza, la profondità e la ricchezza. Ovviamente, fino agli estremi confini della terra.

Mentre P. Mario parlava di attrazione mi è venuto in mente il brano di Giovanni (12, 32) quando Gesù annuncia ai discepoli che: “io, quando sarò innalzato, attireró tutti a me“. Missione universale (tutti !) di attrazione, quindi, è quella fatta da cristiani che vivono la quotidianità della croce con il profumo di Dio sulla pelle. Se ho capito bene il senso, mi sembra di poter dire che il cristiano deve essere percepito da chi gli sta accanto, il famoso prossimo, già dall’odore – concedetemi l’eufemismo – dall’emanazione di tante piccole molecole di Dio che trasmettono immediatamente all’altro, contagiandolo, lo stesso Spirito reso da Gesù sulla croce che in una frazione di secondo si fa carico dell’umanità intera.

Un ulteriore strumento indispensabile per la missione è l’ascolto, imparare a ricevere prima di potere dare. Se ci pensiamo bene, sono poche le parole di Gesù che sono giunte fino a noi, tanti invece i momenti di ascolto dei bisogni spirituali e materiali della folla che lo circondava, apostoli compresi. Ascoltare per sapere agire, ascoltare per far capire al prossimo che è necessario essere in sintonia l’uno con l’altro, “in comunione”, per chi è cristiano.

Ascoltare le tante samaritane assetate d’ acqua viva, rendersi conto che prima di pensare di essere capaci di poter dare qualcosa, bisogna riconoscere che siamo fatti tutti, e tutti abbiamo bisogno, della stessa Acqua. Cristo si è fermato al pozzo perché aveva sete; alla donna non ha chiesto altro che un bicchiere d’acqua, ha avuto bisogno di lei e la samaritana non ha fatto altro che comunicargli di avere un disperato bisogno di Lui.

P. Menin ha poi lanciato un appello, una necessità impellente: le nuove sfide della missione non possono fare a meno di chi negli ultimi due secoli è stato il protagonista assoluto e, spesso unico, del portare Cristo alle genti. L’insieme degli Istituti missionari, oggi ridotti nel numero e con un’età media elevata. Proprio per questo un bene preziosissimo, una pianta ormai rara minacciata di estinzione che è fondamentale salvaguardare e coltivare con più tenacia ed attenzione.

Il messaggio che mi è sembrato di cogliere è l’urgente necessità di ripensare gli spazi e le modalità di animazione degli Istituti missionari, sicuramente con l’aiuto dei laici. Anzi, insieme, uniti da una sola grande vocazione: Cristo al centro di tutto, l’unica forza capace di scuotere il torpore in cui siamo caduti e che ci rende incapaci di riconoscerlo vivo e risorto nelle croci di tanti fratelli e sorelle che ogni giorno incontriamo sul nostro cammino. Bellissimo a questo proposito l’esempio dei discepoli di Emmaus e dell’eunuco che incontra Filippo: in entrambi i casi Gesù si fa presente nei gesti e nelle parole semplici, spezzare e condividere il pane, leggere insieme la Parola per ritrovare la freschezza del Battesimo.

Torno, in conclusione, all’inizio della relazione di P. Menin, quando ha cominciato ad illustrare la parola chiave del titolo: l’arcobaleno. Il segno già presente all’inizio della Storia tra Dio e l’uomo (Gn 9, 12-16), quando Jahvè, facendo brillare l’arco tra le nubi, annuncia che anche nelle più immani disgrazie, in quel caso il diluvio, Il Padre non abbandona mai i figli, si prende cura di loro.

Se quindi ho capito bene il senso della relazione di P. Mario, mi pare di poter definire la Missione del terzo millennio come quella delle tre A:

1) Attrarre le persone con cui si divide il cammino facendosi riflesso di Dio,

2) Ascoltarle per capire fino in fondo la loro (e la nostra) necessità di amore,

3) Agire insieme, per evitare che Cristo ci dica: avevo sete e non mi avete dato da bere…

Nino Oliva

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