Imparare in /dal carcere

Provaci ancora… prof!

Articolo tratto da “Missionari Savriani” di febbraio . Scitto da Annapaola Turco nel Laicato Saveriano fin dall’inizio della esperienza.

  • La mia esperienza di “professoressa in carcere” è iniziata quando, insegnante presso un liceo scientifico della provincia, ho deciso di fare domanda di trasferimento. Due i motivi: avvicinarmi a casa e la consapevolezza che, dopo un po’ di anni, cambiare scuola diventa più costruttivo per tutti.

    Tra le scuole con disponibilità di cattedre mi è balzata agli occhi un Istituto professionale alberghiero presso la sede carceraria di Salerno. Ho subito pensato che se mi avessero accordato il trasferimento richiesto, avrei potuto arricchirmi di una nuova esperienza lavorativa e, soprattutto, umana. Dopo un consulto familiare, la decisione è presa e la richiesta inoltrata: domanda di trasferimento accordata!
    Sin dai primi giorni, quando entravo ogni mattina nell’istituto penitenziario, avevo l’impressione di oltrepassare confini, cancelli dopo cancelli, di fare un viaggio in uscita dal mio ambiente per andare verso un mondo completamente diverso.

    C’erano relazioni nuove da costruire, persone con esperienze diverse da incontrare: i responsabili della Casa Circondariale, gli agenti di polizia penitenziaria, gli addetti all’area educativa, i volontari impegnati in varie attività, i detenuti che circolano liberamente nella struttura perché impegnati in lavori utili alla comunità carceraria, quelli, invece, ristretti nell’area dell’alta sicurezza, ai quali è permesso uscire dalla cella sotto stretta sorveglianza, solo per pochi motivi e tra questi la frequenza a scuola.
    Quante volte come laici saveriani ci siamo detti: “Missione è uscire da sé stessi ed andare verso l’altro…”, sentivo che stavo facendo quell’esperienza.

    In questi anni, sono davvero tante le vicende vissute, le persone incontrate, le loro storie entrate nel cuore, gli insegnamenti ricevuti che mi hanno cambiata. Credo di essermi arricchita dal punto di vista umano e anche di essere cresciuta dal punto di vista professionale. Per necessità, ho dovuto imparare a semplificare i contenuti, a cambiare il modo di porgerli, a fare a meno di strumenti multimediali e tecnologici. L’ambiente carcerario richiede proprio un approccio speciale perché, nella maggior parte dei casi, ci si trova di fronte a una persona che vive una situazione di sofferenza, privazione, frustrazione, confusione, disagio. Spesso, proviene da un ambiente sociale, culturale e affettivo dove l’attenzione alla persona, il rispetto, la dignità sono calpestati.

    Il Signore mi ha fatto un regalo davvero grande, quello di riuscire a mettere da parte il reato di cui è accusato ogni mio alunno e stabilire, quanto più è possibile, un rapporto di reciproco rispetto, empatia, fiducia su cui basare il dialogo interpersonale e formativo. Nonostante sia a conoscenza di reati anche terribili, riesco a guardare ognuno di loro negli occhi, a dare un abbraccio quando concesso, a stringere fraternamente le mani, a scambiare poche parole, mai superficiali. Così, sono sicura di ricevere maggiore attenzione in classe, e ottenere da ognuno di loro l’impegno a ingerire almeno “una pillola di matematica”. Sono convinta che la facilità e la semplicità con cui ciò succede non sia opera mia.

    L’estate scorsa, dieci miei alunni hanno sostenuto l’esame di stato, alcuni dei quali avevano avuto me come insegnante di matematica per tutti e cinque gli anni della scuola superiore. Una vera e propria iniezione di speranza! Tra l’altro, le difficoltà della didattica carceraria sono state amplificate dalla situazione Covid-19 e dalla necessità di attuare una forma di “didattica a distanza”, compatibile con le regole detentive. Tale situazione, tuttavia, ha permesso di “avvicinare” il mondo esterno, le nostre case da cui facevamo lezione, all’ambiente carcerario.

    Nel luglio scorso, ci è stato consentito di svolgere l’esame finale in presenza. La Commissione al completo ha visto tutti i candidati, emozionati come bambini e, allo stesso tempo, contenti di dimostrare, anche alle proprie famiglie, la voglia di riscatto e di impegno per raggiungere un risultato che pochi credevano possibile. Il Presidente di Commissione si è congratulato più volte con ognuno, dicendo loro che ascoltandoli aveva imparato tante cose nuove, professionali e umane. La consegna dei diplomi ha rappresentato per loro e per noi un momento denso di emozioni.

    Sono tanti gli aspetti per i quali lottare perché le carceri diventino luoghi di redenzione per le persone detenute e la società favorisca il loro reinserimento offrendo opportunità di riscatto. Vivo il lavoro in questo luogo come uno “stare accanto” nell’ambiente in cui i miei alunni vivono. Il rispetto per ogni persona, l’impegno professionale, la dedizione al lavoro e l’osservanza della legalità hanno ricadute positive e gratificano anche in un contesto di particolare sofferenza e privazione.

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