Chiesa di migranti per migranti : un testimone dall’ Arabia Meridionale

Nuova evangelizzazione significa risvegliare nel cuore e nella mente dei nostri contemporanei la vita della fede e noi Saveriani (Padri e Laici) pensiamo di proporre momenti significativi d’incontro

18 e 19 Settembre 2018, due serate in ascolto della testimonianza di vita del Vicario dell’Arabia meridionale, Mons. Paul Hinder, cappuccino di origine svizzera che è stato ospite a Salerno e ad Eboli per incontrare quanti hanno voluto approfondire il tema “Islam, la sfida dell’incontro”.

2 momenti intensi, che hanno riscontrato l’interesse di oltre 100 ascoltatori che hanno animato il dibattito, ponendo quesiti ai quali non sempre si poteva fornire risposta, a tutela di quella Chiesa talvolta precaria e nascosta, che opera nel silenzio il suo annuncio.

Molto lascia intendere, a tal proposito, la quarta di copertina del volume pubblicato dalla EMI, in cui è riportata, a mio avviso, una porzione rappresentativa del testo di Hinder: “Rimanemmo a Riyad sette giorni, visitando ambasciate e case private, impartimmo sacramenti, celebrammo varie volte l’eucaristia. Fino a tre messe al giorno, in vari luoghi. Tutto nascosto. Non organizzammo servizi liturgici, ma formalmente “feste di compleanno”. La fede, in queste piccole stanze, è come una finestra aperta sul mondo della libertà. Non può venire spalancata, ma il soffio che passa dallo spiraglio ha una forza e una freschezza che mi toccano nel profondo

Si può rimanere sconvolti nel leggere la definizione che Paul fa di se stesso “sono pastore di migranti”. È impegnato nella penisola arabica: un tempo in 7 stati, ora in 3, dove la vita ecclesiale non è, in tutti, attiva e garantita, come in Yemen. Mons. Hinder si sposta spesso tra le 26 parrocchie, dove la liturgia si svolge in diverse lingue e diversi riti. Non occorre aggiungere commento alle parole che ci ha dedicato e che mi hanno colpito e che avendo ascoltando con grande attenzione, di seguito riporto.

“Vivo una Chiesa di migranti per migranti, non ci sono cristiani autoctoni, ma di provenienza da altri paesi. Migrante è la stragrande maggioranza della popolazione di queste terre, dove convivono due società: quella locale e quella migrante. Il migrante non guadagnerà mai la cittadinanza, ma può lasciarsi coinvolgere e allo stesso tempo, può contaminare il locale. L’80% dei cristiani presenti sono cattolici e, unitamente agli altri, vivono diversi momenti di dialogo con le altre fedi, presieduti anche dalle figure istituzionali del mondo arabo dei cosiddetti Ministri per la Tolleranza. La sfida più grande del mio ministero è quello di favorire e curare l’unità della chiesa in un contesto di sì tante differenze. I nostri fedeli arrivano da tutto il mondo, anche se in prevalenza dall’Asia e portano con sé eccezionali ricchezze culturali, di tradizioni e riti. Tutto questo si traduce anche nella sfida di tenere insieme queste diversità e creare senso di appartenenza, cercando di evitare ghetti etnici, perché vivere la Chiesa significa sperimentare l’apertura all’altro e non solo verso chi viene dalla mia stessa terra d’origine. Credo che noi viviamo una situazione che, dal punto di vista sociologico, si ripeterà anche in altre parti del mondo: le migrazioni contaminano anche l’aula liturgica. Significativo è per noi la presenza dei laici nelle nostre parrocchie, che si occupano della catechesi e che, nelle feste liturgiche più importanti, ci aiutano a distribuire la comunione. Siamo un laboratorio di carismi che consente al clero di offrire maggior disponibilità di tempo all’ascolto di chi ha bisogno. Vivo la difficoltà dell’assenza di spazi per le liturgia: a Dubai, nelle grandi feste cristiane, attendono la turnazione per partecipare alla messa ben 60mila cristiani, creando disagi logistici. Non manca di dare conforto e sostegno con la pastorale alle diverse situazioni di compromesso familiare che i tanti migranti cristiani vivono quando si allontanano dal loro nucleo affettivo. Il paese più intollerante è l’Arabia Saudita, sebbene ci sono cambiamenti simbolici in corso, i cui effetti sarà bene aspettare e verificare con mano, come fece San Tommaso. I processi, anche nel mondi arabo sono lenti, mai immediati”. Tutte parole queste ci consentono di comprendere l’opera silente e faticosa della Chiesa, sempre pronta a curare il suo gregge con azioni pastorali di grande vicinanza e sono, al contempo, specchio della testimonianza importante di chi sa andare OLTRE e parlare di ALTRO.

Marta Chiaradonna

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