Un viaggio speciale

 

Dal 12 Febbraio al 5 Marzo sono stata ospite di Franca e Patrick con cui ho seguito un itinerario fra alcune missioni del centro e del sud del Bangladesh. Un viaggio a lungo desiderato e già tentato di intraprendere in passato senza successo. Come spesso capita però, le cose accadono quando devono e non quando le si pianifica.

Individuo tre diverse fasi in questa mia prima esperienza. Innanzitutto i primi giorni nella capitale, Dhaka, dove l’impatto è stato un po’ traumatico: il traffico impazzito fatto di pittoreschi autobus coloratissimi e scassati, macchine, risciò ed easy-bike, che corrono dappertutto in una marcia disordinata, seguendo l’unica vera regola del codice della strada bengalese, ossia ha la precedenza il mezzo più grosso e più rumoroso.

 

In tutto questo marasma i pedoni si tuffano a testa bassa incuranti dei rischi, delle leggi della fisica e dei passaggi pedonali sopraelevati disponibili nelle strade principali della città. Il cielo è perennemente lattescente per l’ inquinamento e la tanta polvere e anche di notte prosegue l’ ululato infernale dei clacson. Ma esistono anche posti di pace come lo Jatiyo Sriti Shoudho, il monumento nazionale commemorativo dei martiri per la guerra di liberazione, situato in un bellissimo e curato parco con un corso d’ acqua e alberi in fiore. In questo luogo si possono percepire una calma ed una tranquillità rare in altre zone della città.

 

 

Nella seconda parte del viaggio, dopo una breve permanenza nella casa di Patrick e Franca a Khulna e dopo aver guadagnato una nuova compagna di viaggio, Stacey, energica ed entusiasta parrucchiera di Detroit, ci siamo spostati verso sud-ovest dove ho potuto visitare diverse realtà missionarie: la “cittadella” di Rishilpi, l’enorme missione di Laura ed Enzo a Shatkira (con un’estensione di 3750 m²) dove da 50 anni creano opportunità di lavoro e alloggio a tante persone tramite i proventi ricavati da prodotti di artigianato in pelle e stoffa, il laboratorio di pasticceria e un grandissimo sistema di filtraggio dell’acqua che fornisce acqua potabile ad uso degli abitanti della missione e per la vendita all’ esterno. Inoltre gestiscono un grande polo sanitario, attualmente in espansione, dove è possibile effettuare visite ambulatoriali di ginecologia, trattamenti fisioterapici e indagini radiologiche ed ecografiche con ottima strumentazione.

 

A Chuknagar c’è la missione di padre Antonio Germano che con i suoi 80 anni e gli occhi che sorridono, vive in semplicità insieme a padre Rocky tra la popolazione tribale dei Rihsi, con l’ obbiettivo di favorirne l’educazione e l’elevazione sociale. Il luogo che più di tutti porto nel cuore e che spero di visitare nuovamente presto, è la missione di padre Paggi a Shyamnagar, dove tra l’allegria delle bambine e dei bambini Munda (una popolazione tribale fuoricasta, ultimi tra gli ultimi) ai quali p. Luigi dà ripetizioni dopo l’orario di scuola fa attività di doposcuola e i buonissimi piatti cucinati da Beauty (la cuoca della missione) si vive in un’ atmosfera che sa del calore e dell’accoglienza della famiglia. Durante la nostra permanenza la missione è stata allietata anche dalla presenza di diversi ospiti: Chiara, Paolo e Matteo, giovani giornalisti e film- maker che sono partiti da Brescia e si sono lanciati in mille avventure per raccontare il coraggio di Minoti, Lipika e delle altre ragazze munda che per prime si sono coraggiosamente ribellate alla tradizione dei matrimoni precoci, con la complicità e l’ accoglienza di padre Paggi; la delegazione romagnola di Fiorenzo, Giovanni e Gianpaolo che a Forlì curano un’ associazione di adozioni a distanza di bimbi in età scolare e da circa 20 anni visitano periodicamente le scuole coinvolte nel progetto e mantengono i rapporti con le missioni sparse in tutto il territorio del Bangladesh.

Insieme abbiamo passato giorni di festa, tra giochi con i bambini e tagli di capelli magistrali che hanno valso il titolo di “paka napit” (parrucchiera abile ed esperta) ad aunty Stacey (zia Stacey, come la chiamano i bimbi della missione).

 

 

Abbiamo anche avuto l’opportunità di avventurarci nella foresta del Sundarbans, attraversandone un tratto in barca e ammirandone l’ affascinante natura per nulla rovinata dalla pioggia scrosciante di un diluvio fuori stagione. Purtroppo le bellezze naturali del Bangladesh spesso sono offese da una quantità enorme di rifiuti riversati con non curanza ai cigli delle strade, nei campi e nelle acque torbide dei tanti pukur, ossia gli stagni distribuiti su tutto il territorio e che la popolazione utilizza per l’ igiene personale e per approvvigionarsi dell’acqua per le necessità domestiche.

 

Nella terza ed ultima fase del viaggio siamo stati ospiti delle Missionarie del Pime a Khulna, dove Franca ha ricevuto le consegne per l’Ospedale gestito da Sister Roberta, medico e superiora delle sorelle del Pime in Bangladesh, che attualmente si trova in vacanza in Italia per 4 mesi dopo 4 anni che non tornava nel paese d’ origine. La cittadina di Khulna nel complesso è più armoniosa e meno caotica rispetto alla capitale, con i colori delle stoffe e delle spezie sui banchi del Boro Bazar e le barche che vanno e vengono lungo il fiume che bagna la città.

Qui ho potuto avere un primo approccio conoscitivo con una patologia negletta e complessa come la lebbra che fino ad ora non avevo mai studiato al di fuori della teoria dei manuali di Malattie Infettive. L’affiancamento di S. Roberta e Franca in ospedale e i vari medical camp realizzati sul territorio in questi giorni mi hanno permesso di accostarmi ad una diversa dimensione medica e di fare esperienza di un pratico esempio di assistenza sanitaria in un paese a basso reddito. Trovo che, fino ad ora, sia il risvolto della professione che maggiormente mi entusiasma e soddisfa.

In conclusione penso che il

Bangladesh sia ben rappresentato dal suo fiore simbolo, il fiore di loto, che nonostante sia bagnato dalle acque melmose e torbide di un pukur, conserva intatto il suo fascino.

E’ come la terra degli opposti: la capitale con il suo caos continuo, si oppone alla tranquillità dei verdeggianti villaggi rurali; entrambe hanno zone molto povere, ma la campagna conserva una povertà meno sfacciatamente desolante rispetto agli slum della città. I bellissimi fiori e frutti esotici sono dappertutto e i loro profumi si mescolano all’odore della sporcizia e dei rifiuti sparsi ovunque. La bellezza e l’ eleganza degli shari e dei tree piece che adornano le donne, stridono con la vita estremamente semplice e spesso limitata che conducono. Gli sguardi spesso troppo invadenti dei bengalesi non abituati alle facce straniere, nascondono una capacità di accogliere e di saper condividere anche quel poco che possiedono, che ti lascia stupita. Ma ancora più sorprendente è il rispetto che c’è (e speriamo resista) tra le varie confessioni religiose, mussulmani, cristiani ed indù che convivono pacificamente nella stessa società. Il tutto accompagnato e sostenuto, dove possibile senza troppe interferenze, dai missionari, consacrati e laici, che camminano insieme condividendo e scambiando esperienze, vissuti e sfide comuni.

Milly

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