Diario del viaggio missionario in Congo ( Goma1 parte)

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Premessa

E’ il viaggio missionario che abbiamo sognato da tanti anni. Da venti. Da quando il viaggio di nozze a Salvador de Bahia ci aveva folgorati facendoci scoprire la bellezza dell’uscire, incontrare l’altro, scoprire una vocazione.
In questi anni abbiamo sempre avuto la “saudade” per quei giorni in un altro mondo dove abbiamo scoperto che sulla terra le differenze di popoli, mentalità e credenze sono davvero grandi ma c’è la possibilità di parlarsi, incontrarsi, volersi bene.
Questa volta non è il Brasile in cui ritornare rispondendo all’invito dell’amico don Giancarlo, e’ l’Africa che ci chiama. L’Africa nera. Non quella dei documentari sulla natura ma quella delle città, dell’umanità in cerca di una sua strada, umanità allegra e dolente, in esplosione.
Paolo e Giovanna da tempo ci “fanno la corte”. Sono stati anni a Goma, nella Repubblica democratica del Congo, uno dei paesi più ricchi con la popolazione più povera e disperata del mondo…e il nord Kivu… è la parte “peggiore” del Congo.
Comunque…alla fine ci hanno convinto. Abbiamo deciso di fare la “pazzia”. Partiamo tutti, Emanuele e Giovanni compresi!

Giovedì 20 giugno 2019

Si parte!
Le solite tensioni, le solite piccole discussioni durante i preparativi per la partenza. Incredibilmente siamo in orario. Ci troviamo con Giovanna e Paolo all’autogrill di Fiorenzuola. Carichiamo 25 kg di maniglie dorate (che non sapremo mai a cosa servissero…) e ripartiamo alla volta della Malpensa. La Giovanna si fa fregare da un giovane napoletano in trasferta che le rifila delle calze.
Un uomo che con le vecchie mappe cartacee non sì è mai smarrito in nessun luogo del mondo, si perde inesorabilmente con il navigatore. Riusciamo ad arrivare in ritardo anche stavolta.
Per fortuna ci imbarchiamo senza problemi. I nervi un po’ tesi per il decollo ma poi…si vola verso l’Africa!

Venerdì 21 giugno 2019

L’Africa!
Di notte si riesce a sonnecchiare un po’. Ci interrompono le belle e solerti hostess dell’Ethiopian: la cena all’1.46 è a dir poco insolita. Intorno alle 5.30 arriviamo ad Addis Abeba dopo aver sorvolato Egitto e Sudan posiamo per la prima volta il nostro piede in Africa!
L’aeroporto è “europeo”, è un hub per tutta l’Africa. C’è una folla enorme. Noi bianchi siamo in netta minoranza, c’è gente di tutti i tipi. Le donne sono vestite in vario modo: dalla moda occidentale al burqa integrale.
E poi…tanti cinesi: stanno conquistando l’Africa con gentilezza e con i soldi.
Alle 10.40 ripartiamo e, dopo uno scalo ad Entebbe (Uganda), arriviamo finalmente a Goma!

Aeroporto di Goma
L’aeroporto di Goma ci accoglie con un’aria molto africana. Ricorda quello visto in qualche film tipo “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare il loro amico misteriosamente scomparso in Africa?”.
E’ piccolo e gli aerei che attirano la nostra attenzione sono quelli delle ong umanitarie e quello del Parco nazionale dei monti Virunga.
All’ingresso, un po’ inquietanti, l’OIM ha piazzato delle fontanelle con il disinfettante. Si respira l’aria della paura. L’ebola non è lontana e si teme l’espandersi dell’epidemia. All’interno ci fanno una “foto termica” per verificare se abbiamo la febbre. Recuperiamo le valigie e troviamo Paolo a discutere con chi le deve portare alla casa: è la prima di tante contrattazioni, agli africani piace negoziare e i bianchi, forse, sono un po’ da “spennare”.

Il viaggio verso la parrocchia
Superate le sbarre dell’aeroporto, Goma ci investe con la sua realtà. E’ uno schiaffo potente. La realtà supera le nostre attese e purtroppo le supera in peggio.
Povertà a portata di mano, baracche, terra, bambini, chioschi, negozi improbabili, case costruite a metà, impalcature di legno precarie (come fanno gli operai a lavorarci?). Fiumi di gente, traffico bengalese, regole ancora da inventare, moto ovunque (sono taxi a due ruote). Ai bordi passano i chukudu spesso carichi fino all’inverosimile. Sono enormi monopattini di legno costruiti artigianalmente. Sono diffusissimi in città.
La gente sta seduta aspetta non si sa cosa oppure è indaffaratissima ma non si sa a che fare. Sono come le formiche che sembrano non avere una logica nei loro spostamenti ma siamo noi a non capirle. Fuori dalle strade asfaltate dai Cinesi, gli spostamenti avvengono sulla terra costellata di pietre vulcaniche…il vulcano parleremo anche di questo.
Si “balla”, si “balla” sulla Toyota di Serge, il nostro autista, quando imbocchiamo l’ultimo tratto verso la sede dei Saveriani: la parrocchia di Ndosho.
Superiamo il portone e si apre un’isola di silenzio e tranquillità. Alle nostre spalle l’inferno o forse semplicemente la vita lontana dai nostri lindi paesi occidentali.
La casa dei Laici saveriani, tante volte immaginata, ci accoglie. E’ giustamente spartana ma, appunto, accogliente.
Mangiamo alle quattro e conosciamo mamma Media, la nostra cuoca. E’ una bella signora che da diversi anni fa questo servizio garantendo alla sua famiglia un reddito per quasi tutto l’anno. Pian piano arrivano gli altri amici a salutare e presentarsi a noi. Ci dobbiamo abituare al francese. Più ci entra in testa la sua musicalità e più lo capiamo. Con Giovanna faccio una “scappata” a vedere la chiesa e le strutture della parrocchia. Con gli orari tutti sballati andiamo a dormire prestissimo.

Acqua e luce e spazzatura
Non lamentiamoci dei nostri comuni! I servizi pubblici in Congo sono un’ipotesi.
Si vede veramente poco. Le cose più significative sono un semaforo sgangherato ed un vigile in mezzo ad un incrocio a cui nessuno dà retta (al semaforo e al vigile!).
A Ndosho non c’ è acquedotto si usa l’acqua piovana raccolta in grandi vasche: non filtrata per lavarci e gli scarichi dei bagni, filtrata per bere. Diciamolo…non è buonissima…Giovanna ci dà consigli per risparmiarla. La maggior parte degli abitanti della città però non ha nemmeno questo sistema. Compra l’acqua in taniche gialle da venti litri. Forse arriva dal lago. Con tutti gli scarichi urbani, non è il massimo.
A Ndosho non c’è energia elettrica. Ne abbiamo un po’ da pannelli solari con un impianto da sistemare. Paolo la “taglia” appena può.
I Volta hanno ragione, il rischio, infatti, è sempre quello di rimanere a corto dell’una e dell’altra. Una bella lezione per noi abituati troppo bene!
A Ndosho, infine, non c’è nemmeno raccolta dei rifiuti..., figuriamoci la differenziata! L’organico va agli animali, il resto si brucia, alla faccia della diossina.
Molto resta per strada.

Sabato 22 giugno 2019

La prima visita
C’è un matrimonio in parrocchia, andiamo a vederlo. C’è poca gente ma un grande coro e si canta e si balla. All’uscita Serena riesce a “fuggire” mentre io ed Emanuele siamo coinvolti in un’improbabile partita a calcio senza regole, da una trentina di bambini che ci tengono per mano e ci accarezzano curiosi della nostra pelle bianca e dei peli morbidi della braccia. Alla fine Emanuele è sommerso da facce e mani in una foto di gruppo.
Poi si parte. La prima meta è la vecchia cattedrale di Goma bruciata per metà dall’eruzione del vulcano Nyiragongo nel 2002.
Cerchiamo Luisa nelle casette costruite da padre Silvio Turazzi dove hanno vissuto Paolo e Giovanna nelle loro prima esperienza in Congo ma non è in casa. Le lasciamo un biglietto e gli amaretti di Saronno portati dall’Italia. Andiamo a vedere la scuola di Antonina, un’oasi di ordine e pulizia in mezzo al caos. I ragazzi di strada che stanno lì vicino sono attirati dalla nostra presenza. Un simpatico e chiacchierone custode della scuola ci regala, staccandoli dall’albero, tre grossi avocado.
Poi, con Giovanna, ci immergiamo nella realtà del mercato di Virunga, un bazar coperto dove c’è di tutto e solo la presenza di Giovanna ci tranquillizza. Che ci fanno cinque bianchi fra questi banchi di legno? Giovanni più dei pericoli umani teme le lunghe ragnatele che pendono dal tetto di lamiera.
Paolo e Serge ci aspettano vicino alle casette di Luisa e Antonina. Dato che lì vicino c’è un carcere, c’è anche una specie di posto di blocco dell’esercito (alcuni militari vivono lì, in catapecchie), il soldato che ci affronta è visibilmente ubriaco, il mitra che ha in mano non è rassicurante, per fortuna va tutto bene e ripartiamo alla volta del Lago Verde. Il pomeriggio è infatti dedicato a visite turistiche. Il lago verde è nel fondo di una caldera di un antico vulcano ormai spento. Ci ricorda la zona di Pozzuoli. Anche stavolta un capannello di persone si raccoglie intorno a noi. Come al solito nelle frasi ricorre la parola “argent” (soldi in francese), con dispiacere facciamo finta di niente.
Andiamo verso il lago Kivu, visitiamo il centro dei neo-catecumeni e la casa dei Pallottini. Quest’ultima è fin troppo “leccata” per i nostri gusti. Stona con la realtà della città. Canoe sul lago ed uccelli di passaggio fanno molto “Africa” ma la foschia rovina un po’ la magia del lago.
Ripartiamo ed andiamo a vedere la nuova cattedrale della città in costruzione.
E’ enorme, anche questa stona un po’ per i nostri gusti, chissà se ai Congolesi piace. Ci domandiamo quanto una struttura così gigantesca stia costando ad un popolo così povero…
Cerchiamo Rogier presso il suo centro medico, non c’è ma ci rendiamo conto del livello della sanità in Congo.
Al ritorno presso i Saveriani, ci accoglie un bagliore rosso nel cielo, è il riflesso del magma sul fondo della caldera che si riverbera nell’atmosfera umida. La presenza del vulcano è lì, inquietante e continua sulla città: a quando la prossima eruzione?

Donne
Sono ovunque, apparentemente libere.
Chissà se lo sono davvero nei confronti dei loro mariti e se le tante gravidanze non siano anch’esse una schiavitù.
Le ragazze giovani sono spesso belle e hanno un gran portamento fasciate nei loro coloratissimi vestiti. Con la stessa naturalezza portano i loro bambini sulla schiena, bambini sempre, non si sa come, beatamente addormentati.
Non perdono la loro dignità neanche quando con una fascia sulla fronte a fare da supporto, trasportano non più bambini ma carichi enormi e tu lì a chiederti come facciano.
Ti chiedi anche com’è la loro vita, che sogni hanno, a che speranze si aggrappano se tutti i giorni affrontano una battaglia per la sopravvivenza, se l’orizzonte temporale è il giorno dopo dove devono trovare cibo e acqua per i loro figli.
Il carico più grosso, forse, allora, non è quello sulle loro spalle…

23 giugno 2019

A Mudja
Giovanna ci ha messo davanti ad un bivio: o “beccarci” la prima comunione in parrocchia (trecentottancinque bambini!), con relativa processione del “Corpus domini”, o accompagnare padre Tresor a Mudja, una cappella della parrocchia persa nella foresta verso il vulcano. Partiamo con la jeep della parrocchia insieme al padre ed ad un imprecisato numero di ragazzi stipati sul retro della Toyota. Noi siamo gli ospiti e siamo davanti. Abbandonato l’asfalto quasi subito, imbocchiamo strade che nessuno ha tracciato ma che sembrano essersi formate con l’uso. A destra e sinistra le solite baracche, i soliti negozietti, i soliti bambini, a volte apparentemente abbandonati. Padre Tresor affronta queste strade senza grande rispetto per le sospensioni e noi sobbalziamo ad ogni pietra. Uno degli strumenti più importanti a Goma sembra essere il clacson, indispensabile per far spostare altri mezzi o le persone che indolentemente stanno in mezzo alla strada. Pian piano le baracche si diradano.
C’è una grande lingua di lava su cui vengono appoggiate le rade stamberghe di legno nero perché trattato con olio frusto di motore. I muretti fra una “proprietà” e l’altra sono fatti di blocchi grandi di lava, “il giardino”, di pezzi più piccoli.
Raggiungiamo la chiesa dopo essere passati davanti ad una casa con un altare davanti e parecchia gente intorno, scopriremo poi che è la celebrazione di un lutto.
Padre Tresor ci fa sedere davanti, dietro il coro. Anche volessimo nasconderci non potremmo, quando siamo in piedi io, Emanuele e Giovanni spuntiamo almeno di venti centimetri su tutti. La messa è allegra cantata e ballata. I chierichetti che ballano in cotta e veste sono uno spettacolo. La messa è in swahili. Le uniche cose che capiamo sono Abramu, Jesu Cristu, Maria. Durante la predica la gente ride e risponde alle domande del padre ma per noi è troppo lunga. Quando ci sono i canti però ci riprendiamo battendo anche noi le mani.
Siamo attorniati da bambini macilenti, vi è un odore di varia umanità anche perché la chiesa è piena zeppa.
Alla fine della celebrazione, come mi aspettavo, Tresor “ci frega” facendoci presentare. Quattro bianchi davanti a centinaia di neri che ne hanno visti davvero pochi. Comunque penso vada bene perché ci applaudono. Ridono, anche, chissà cosa avrà detto il padre?
Alla fine della messa aspettiamo sul “sagrato”. La gente ci fissa stupita in particolare le donne che arrivano cariche di legna e carbone dalla foresta. Ad un certo punto passa un militare, padre Tresor ci spiega con tutta tranquillità che di militari in giro ce ne sono parecchi perché dalle parti del vulcano scendono i “banditi”. Paolo e Giovanna dove ci avete mandato?
Parliamo con padre Tresor. E’ stato quasi sette anni in Italia. Conosce la nostra situazione politica, il clima pessimo che si è creato. Facciamo una bella chiacchierata.
Poi ci offrono da bere. Il metodo di apertura dei tappi della Coca e della Fanta (mannaggia “The Coca-cola company” è arrivata fin qui!) ci lascia un po’ dubbiosi soprattutto Serena che si vede stappare la propria con i denti.
Guardo la foresta. È rada e le piante piccole. E’ così naturalmente o qualcosa, uomini o vulcano, l’hanno ridotta così?
Provo a guardare un uccellino con il binocolo ma Emanuele e Giovanni mi ricordano che per oggi abbiamo dato abbastanza “spettacolo”: passino dei bianchi nella foresta ma anche con il binocolo!
Ripartiamo, abbiamo scoperto che i ragazzi che ci accompagnano sono quelli della pastorale giovanile. Quando si sono presentati e hanno parlato in chiesa, ci hanno colpito per il loro entusiasmo e la loro serietà. Consigliano una strada alternativa per tornare a Goma. E’ un vero e proprio “safari”. Attraversiamo foresta, campi coltivati (una montagna scoscesa è tutta coltivata, ma non ci sono frane in Congo?). Qua e là baracche, piccoli villaggi. Sono poverissimi ma, forse sbagliando, ci sembrano situazioni più dignitose di quelle viste in città.
Al ritorno facciamo un giro nella parte “ricca” della città. Buchiamo una gomma e dopo aver lasciato qualche ragazzo a casa propria, finalmente arriviamo alla casa dei Laici.
Nel pomeriggio incontriamo Salumu con la moglie e cinque dei suoi dieci figli, è il presidente dell’associazione “Muungano”.
Anche Rogier, Il medico che avevamo cercato ieri, arriva e ci porta lo sciroppo per Giovanni alle prese con una pessima tosse. Passiamo parecchio tempo a discutere di modi diversi di intendere la missione. E’ un bel momento.
La sera vespri e “cena italo-africana” dai padri saveriani insieme alle “Piccole figlie” che abitano di fronte. E’ una cena allegra soprattutto per le risate delle giovani suore africane.

Orange o Vodacom
La globalizzazione avviene attraverso le bibite gassate ma soprattutto, di questi tempi, con i giga. Goma pullula di piccoli chioschetti con ombrelli arancioni dove ti vendono il tempo per telefonare o “navigare”. La forza di questi strumenti di comunicazione è così grande che non risparmia nemmeno questa città poverissima.
E’ una rivoluzione sociale e antropologica mondiale di cui faccio fatica a vedere le conseguenze: saranno sicuramente enormi e non è detto tutte positive.

Lunedì 24 giugno 2019

Giornata tranquilla. Al mattino andiamo a conoscere una realtà di cui abbiamo sentito parlare spesso: il “progetto Nyota”, quello delle stelline. Un piccolo ambulatorio dove si distribuiscono medicinali contro l’epilessia. Vengono curati in particolare i bambini ma ormai vi sono parecchi adulti. In tutto, quest’anno, sono quasi centottanta. Al centro, che il Laicato italiano finanzia attraverso la vendita dell’artigianato, lavorano Yoali che è infermiera e distribuisce i farmaci e Sebastien e Noela che girano per la città per capire se le persone che chiedono di essere curate sono realmente così povere da non potersi permettere di essere assistiti dal Centro di salute mentale. Si discute di farmaci e soldi. Non tutto quadra, forse i conti fatti un anno fa non tornano ma si troverà una soluzione.
Nel pomeriggio andiamo a conoscere la realtà di MUUNGANO dove ci accoglie Salumu. Ci racconta la storia dell’associazione nata da padre Silvio ed Edda. Una realtà che vive da trent’anni (sono tanti per l’Italia, sono tantissimi per il Congo con la sua situazione instabile). Salumu ci parla del Centro Santé – Muungano che si rivolge ai poveri del quartiere ed è specializzato nella lotta alla malnutrizione e nel sostegno alla maternità. Offre anche visite a domicilio e percorsi di prevenzione. Attraverso il Servizio Sociale di Muungano-Solidarité aiutano famiglie e persone in difficoltà, sostenendoli nel cibo, vestiario, tasse scolastiche. Aiutano anche disabili e carcerati.
Visitiamo gli atelier dove si insegna falegnameria e cucito.
Torniamo da Luisa vicino al carcere. Un altro soldato ci accoglie, come quello del giorno precedente sembra ubriaco. Questa volta Luisa c’è. Ci accoglie con capelli scarmigliati ed un vestito africano. E’ un’anziana signora da quasi cinquant’anni in Congo. Una “fidei donum” della diocesi di Parma. Lavora presso un centro che cura i malati di aids (il GRAM) ma questa volta ha voglia di raccontare le sofferenze dei carcerati di Goma. Racconta che tutti i giorni preparano cibo (una specie di brodaglia con soia e cereali) per quattrocento detenuti, i più malnutriti. Lo stato garantisce solo un pugno di fagioli al giorno. Ci racconta di carcerati letteralmente morti di fame, di soprusi, di dossier vuoti ma di carcerati veri, di difficoltà a liberare gli innocenti, della facilità con cui i potenti possono disfarsi dei deboli. Ci impressionano i suoi racconti ma, forse di più, la sua immutata passione per l’uomo, per la missione, per Dio che traspare da ogni parola.
Mentre Paolo, Gio ed io continuiamo ad ascoltare Luisa, Giovanna, Serena ed Emanuele tornano al mercato di Virunga per cercare la stoffa per le casacche che vogliono far fare all’atelier della parrocchia. Emanuele dà segni di forte stanchezza. Al ritorno a casa si misura la febbre: oltre 39°! E’ l’inizio di una brutta notte e di due giorni di preoccupazione, le malattie tropicali non scherzano. Alla fine stanno male Emanuele, Giovanni, Serena ed anche un po’ Paolo. I sintomi sono febbre alta e le tipiche conseguenze della gastroenterite. Giovanna è affranta: “in tutti questi anni nessun laico saveriano è mai stato male a Goma!”.

Suoni e rumori notturni
A Goma la notte inizia alle 6 di sera e non c’è requie in nessun momento. Fino alle quattro cantano nei bar o nelle chiese pentecostali, dalle tre inizia a cantare il gallo dei padri e va avanti fino all’alba, poi inizia ad abbaiare il cane del custode, alle cinque inizia una musica arabeggiante probabilmente proveniente dalla moschea, alle cinque e mezza le campane della chiesa suonano a distesa ed, infine, alle sei e un quarto inizia la messa alla chiesa qui vicino. Non c’è pace nelle notti congolesi!

Mentre ascolto questi suoni, al caldo sotto la mia copertina (eh si, in questi giorni a Goma di notte serve la copertina!), mi domando anche se non ci siano ben altri rumori al di fuori del muro che ci protegge. Se i padri hanno due custodi notturni e per attraversare semplicemente la strada che ci divide dalle “Piccole figlie” si devono accordare con quelli delle suore parlandosi prima con le radioline, se il figlio di mamma Media, giovane universitario, dice di non uscire di casa dopo le otto di sera ci deve essere una “vita notturna” cittadina che nemmeno riusciamo ad immaginarci.
Povertà estrema, ignoranza, promiscuità, divisioni fra tribù, corruzione sono il substrato da cui nascono violenze, soprusi, sopraffazioni ai danni di una popolazione che a noi appare mite e desiderosa solo di trovare pace.

Martedì 25 giugno 2019

E’ un giorno di noia. Il resto della famiglia è a letto ammalato e davvero sofferente. Io passo il tempo fra “l’infermeria” e qualche giretto nel giardino dei padri per scoprire le piante che vi sono anche se molte non le conosco. Al mattino con Paolo e Giovanna incontriamo suor Sifa per alcuni chiarimenti sull’andamento del progetto “Nyota”. Nel pomeriggio arrivano Luca, nipote di Giovanna, e Matteo. Sono giocatori di volley professionisti, me li aspetto perciò belli alti ma quando me li trovo davanti sono colpito, in particolare da Matteo che è ben oltre i due metri. Arriva anche il dottor Rogier con la moglie. Ci accordiamo che, se non dovesse migliorare la situazione dei pazienti, il giorno dopo avrebbe mandato qualcuno a fare un prelievo di sangue per verificare che non sia una forma di malaria.
Nel nostro portico iniziano arrivare alcuni ragazzi che coordinati dai laici si Goma e soprattutto da Justin producono oggetti di artigianato. Saranno fra noi per alcuni giorni.

Goma, la nera
Goma è nera. E’ nera la sua terra di lava, le pareti delle baracche trattate con olio frusto, la pelle della sua gente. Goma è nera come la disperazione di tanti, di troppi.

Mercoledì 26 giugno 2019

Con Andrea e Luca andiamo a “Maison Cana”; ci accompagna Giovanna che si muove nelle strade di Goma come in quelle di Parma…è a casa sua. E’ la prima volta che giriamo a piedi per le strade della città. Dà un senso di libertà. Non si avverte nessuna sensazione di pericolo. Alla maison ci accoglie maman Leontine che raccoglie in questa piccola struttura mamme uscite dal percorso della salute mentale e comunque in difficoltà. Leontine ha lavorato per parecchio tempo con Paolo al Centro di salute mentale ed ha finanziato personalmente la maison. Ci fanno vedere i loro lavori di artigianato, stoffe, borse, cestini. Luca e Matteo sono sempre a caccia di prodotti adatti alla loro associazione e concordano il confezionamento di una “busta” per computer portatili.
Nel pomeriggio lo stesso gruppo va a Birere, un altro quartiere di Goma, dove Matteo e Luca cercano stoffe. Serge ci porta da quello che a me pare un conoscente. Io e Giovanna giriamo un po’ per fare gli acquisti che servono per la casa. Giovanna teme che mi stia stufando nell’aspettare i nostri “stilisti” ma in realtà sono attratto da tutte le cose che accadono in strada. E’ una realtà così diversa dalla nostra che mi sembra di essere in un film. Tutto mi incuriosisce, i vestiti, le moto (quasi tutte uguali e cinesi), le donne che portano sulla testa di tutto, le persone che ti fermano per venderti qualcosa, i negozietti, la fogna a cielo aperto, le passerelle traballanti per passare le fogne, il traffico allucinante.

Uccelli e piante
Sono molto contrariato e sofferente: non conosco piante ed animali di questa parte del mondo. Avrei dovuto “studiare” prima di partire ma non ne avuto tempo.
Non farmi una “mappa” della natura circostante mi spiazza.
Alla fine del viaggio qualche pianta ho scoperto cos’è e i rapaci che volteggiano in grande numero su Goma sono senz’altro nibbi bruni ma resta indubbio che la prossima volta dovrò preparami meglio!
L’unica vera certezza faunistica è il re che abbiamo in giardino: il tacchino. E’ sempre a far la ruota, irrigidire le ali, arrossare i bargigli, in perenne eccitazione. A volte, data la sua “arroganza”, Paolo, con poca fortuna, e soprattutto mamma Media e i giovani della parrocchia, devono metterlo al proprio posto. Con una scopa o un rastrello lo fanno filare e una volta, addirittura, subisce l’onta di essere trascinato via in braccio ad un ragazzo.
Ma un paio di tacchine per calmare i bollenti spiriti non sarebbero una soluzione?

Giovedì 27 giugno 2019
I malati sono ancora convalescenti. Con Paolo, Giovanna, Luca e Matteo vado alla “Maison Margherita” un centro gestito dal VIS, la ong dei Salesiani. Ci accoglie Monica, un’italiana da sedici anni a Goma. Il centro raccoglie ragazze in difficoltà, ragazze madri, vittime di varie violenze o della stregoneria. Mi colpiscono le casette dove abitano le ragazze, tutte colorate in modo vivace: che differenza con le altre case della città!
Dopo aver visitato i laboratori (pasticceria, maquillage, sartoria, ecc,) insieme al direttore, andiamo nella casa di Monica per un caffè all’italiana. Monica ci parla della situazione delle attività salesiane, delle riduzione degli aiuti dall’Italia, della difficoltà del passaggio fra i padri italiani e quelli congolesi. Parliamo di come le grandi ong del nord-Europa monopolizzino i contributi e li utilizzino più per pagare le loro grandi strutture che per aiutare realmente la gente. Ci parla della difficoltà di coordinamento fra le varie iniziative presenti a Goma e del grande apparato messo su per contrastare l’ebola.
Restiamo colpiti da questa figura che ha saputo donarsi totalmente alla missione.
Torniamo poi al Centro di salute mentale. Questa volta il direttore c’è e Paolo ne approfitta per definire una nuova convenzione per l’acquisto dei farmaci per i malati di epilessia. Noi visitiamo la struttura che sembra ben organizzata, pulita e ordinata, almeno per i parametri congolesi.
Nel pomeriggio, finalmente, Serena, Emanuele e Giovanni ritornano nel gruppo. Andiamo a visitare “Flamme d’amour” l’orfanotrofio che la sorella di Giovanna, Maria Rita, ha preso a cuore e sostiene coinvolgendo anche importanti realtà economiche parmigiane. E’ anche questa una bella realtà, viva, dove conosciamo persone giovani, competenti e motivate. Ci domandiamo perché un paese con così grandi risorse umane sia così disastrato ma la parola che ricorre di più nelle persone consapevoli che abbiamo incontrato è “corruzione”.
Una bimba piccolissima si “accaparra” Matteo. E’ un quadretto molto tenero, si potrebbe intitolarlo “il gigante e la bambina”.
Finalmente, dopo tanta foschia, ci appare in tutta la sua imponenza il vulcano con il suo pennacchio di fumo.
Prima di cena Luca e Matteo si organizzano per un imperdibile match di pallavolo.
Dopo cena, invece, torniamo dalle “Piccole figlie”. C’è aria di festa perché sono arrivate le consorelle dalla Tanzania in vista dei voti perpetui di Emerance e Noela.
Conosciamo suor Giovanna di cui abbiamo sentito parlare spesso. Nonostante l’età, sembra proprio quel tipo di suore inesauribili, animate da un’energia eccezionale e da una personalità che ammette poche repliche.

Musungo
Quando passiamo, non passiamo inosservati. Siamo quasi sicuramente gli unici bianchi che girano per Goma. Gli altri se ne stanno nella parte dove hanno sede le varie organizzazioni e sembrano avere pochi contatti con la città reale.
I ragazzini ci guardano con gli occhi spalancati e sentiamo subito dirci “musungu”. A volte ci prendono un po’ in giro, soprattutto da quando sono con noi Matteo e Luca che indubbiamente non credo lascino indifferenti nemmeno in Italia.
I bambini ci prendono per mano, vogliono toccarci, accarezzare la pelle, i peli o toccare le vene che sulla pelle bianca si notano molto.
A Mudjia un’anziana signora uscita dalla foresta con il suo carico sulle spalle alla nostra vista si blocca, ci guarda stralunata, siamo un strano spettacolo. Ci sentiamo osservati e un po’ oggetto di un “razzismo” alla rovescia che ci fa molto pensare.

Venerdì 28 giugno 2019
Il mattino è dedicato al match di pallavolo. Giovanna è tutta eccitata. C’è qualche problema per il campo che si trova di fronte alla nostra casa, sotto il campo da calcio. Le piogge lo hanno trasformato in un’enorme pozzanghera.
Il problema è che la stagione delle piogge che doveva essere finita da un po’ quest’anno tarda a passare e tutte le notti abbiamo il nostro bel temporale. Questo mantiene le temperature ad un livello ottimale mentre ci giungono notizie dall’Italia di caldo ”africano”.
Comunque non ci si perde d’animo e si trovano delle specie di scale di legno a cui poter appendere la rete e uno spiazzo vicino al campo. Un paio di ragazzi fanno da contrappeso perché il tutto non precipiti. Sulla terra nera del vulcano si formano due squadre miste. Io Emanuele e Luca da una parte, Matteo e Giovanni dall’altra. I ragazzi congolesi sono molto presi (ed anche più bravi dei membri della famiglia Chiappari) e sgridano Giovanni ed anche Matteo! Credo non abbiano capito con chi stiano giocando… C’è anche una ragazza che paga un po’ la sua altezza. Luca e Matteo fanno degli sforzi enormi per non far vedere le loro capacità e quando gli scappa un colpo appena più forte chiedono scusa…Alla fine la vittoria ci arride!
Dopo è tutto un selfie ed una foto di gruppo. Ci siamo divertiti molto ed è stato un bel momento di condivisione. Per la prima volta il caldo africano si fa sentire.
Nel pomeriggio ci concediamo un momento di “mondanità”. Paolo e Giovanna hanno scoperto anni fa questo locale, “lo Chalet”, molto carino che, oltre alla sala da pranzo, ha un giardino che degrada lentamente verso il lago. Sulla sponda sono presenti dei tavoli dove è possibile ordinare bibite o birra. E’ un momento di pace che ci riconcilia anche con la bellezza del posto che normalmente viene nascosta dai problemi e dalle difficoltà della vita in una città come Goma. Il lago Kivu è splendido, sembra di essere su uno dei nostri laghi prealpini, il tramonto lo fa rosa. Piccoli uccelli volano veloci sull’acqua, dal becco sembrano martin pescatori. Ci raggiungono Matteo e Luca che non erano con noi ma con suor Sifa in giro per la citta a “caccia” di tessuti per i loro progetti. Noi ripartiamo con Serge e ci rituffiamo nel caos del traffico cittadino che a quest’ora è impressionante.
Domani lasceremo Goma. Alla fine si questa permanenza, Serena scrive così sul gruppo che abbiamo formato su WhatsApp:
“…di Goma , per ora, mi porto nel cuore i colori dei tessuti nei mercati ma anche il colore nero della lava nelle strade, il suono assordante dei clacson nel traffico, i canti pieni di energia, il sapore della citronella di maman Media al mattino, le tante persone incontrate che hanno voluto condividere con noi le loro difficoltà, i loro problemi ma anche la speranza di un paese più giusto e in pace…non possiamo dimenticarci di tutti questi bambini che vivono ai bordi delle strade o delle mamme che fanno anche dieci chilometri a piedi per prendere qualche litro d’acqua, delle ragazze e dei ragazzi che non vedono un futuro e allora mi porto via anche un po’ di rabbia…

Alberto Chiappari

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