Storia di Mohamed: morto perchè povero

E’ morto un’altra persona incontrata nell’esperienza di accoglienza e condivisione notturna con alcuni senza dimora di Salerno. Mohamed è deceduto,come troppi incontrati in questi anni, per una grave malattia : la povertà e l’indigenza.

Rimane in noi il bel ricordo della sua persona insieme alla grande amarezza di un’altra sconfitta nelle nostre battaglie per vincere le cause dell’emarginazione

Claudio

 

 

Riporto ampi stralci dell’articolo di Giuseppe Pecorelli apparso sul quotidiano “il Mattino”che ci racconta l’ultima avventura do Mohamed e ci da conto dell’intervento di Antonio Bonifacio su Facebook.

 

 

È l’alba di venerdì scorso quando scoppia l’ennesimo incendio a Borgo Mezzanone (frazione di Manfredonia), una baraccopoli- ghetto costruita dai braccianti stranieri che lavorano nelle campagne di Foggia.

 È lì che sopravvivono circa mille e 500 uomini, in condizioni disumane. Tra allacci abusivi e nessuna forma di sicurezza, basta poco perché si scateni un rogo devastante.

 In un anno e mezzo, in sette episodi hanno persola vita quattro giovani stranieri. L’ultimo venerdì, è Mohamed Ben Ali, veniva dal Senegal e aveva trentasette anni. Si era sistemato in una baracca più isolata nella zona abitata dai suoi connazionali e solo l’intervento dei Vigili del Fuoco ha evitato la morte di altri suoi compagni. «Non doveva vivere né morire in queste condizioni – ha scritto Abou Bakar Soumahoro, un sindacalista – nell’esprimere cordoglio e vicinanza ai familiari, promettiamo loro di lottare affinché la morte di Mohamed non sia vana».

 IL RICORDO Questa tragedia, un’altra vita stroncata dall’indifferenza, tocca anche Salerno, dove Mohamed ha vissuto per anni, seguito negli ultimi quattro dai missionari e dai volontari laici Saveriani nella casa religiosa di Rione Petrosino. «Sono rimasto senza parole quando ho saputo che la vittima dell’incendio era Mohamed», dice Antonio Bonifacio, che opera attivamente nel Laicato Saveriano ed è direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes. «L’11 marzo, appena è scoppiata l’emergenza sanitaria – continua – lui ha scelto di andare a Candela (Avellino), dove ha trovato alcuni amici. Siamo stati proprio noi a comprargli il biglietto del treno. Quando è cominciata la stagione della raccolta del pomodoro, si è trasferito a Foggia per lavorare.

 Non si tirava mai indietro e nonostante i problemi, era sempre sorridente e gentilissimo. Portava sempre con sé una chitarra, che sicuramente aveva anche a Borgo Mezzanone. Non dimentico quanto è stato bello vivere il capodanno con Mohamed: suonava lo djembe, un tamburo tipico dell’Africa». Bonifacio, appresa la notizia, ha scritto di getto un post pubblicato sulla sua pagina Facebook, una lettera aperta all’amico scomparso. Un modo per evitare che anche Mohamed diventi solo un numero e che non sene ricordi né il nome né il valore inestimabile e prezioso della sua vita di sacrifici:

«Eri altruista, generoso con chi stava peggio di te. Non eri ricco, ma eri sempre disposto a dare una mano agli altri. Ci hai allietato con la tua musica per tante serate invernali durante le accoglienze dai Missionari Saveriani e per tre anni, abbiamo atteso il nuovo anno con il cenone. Tante volte abbiamo fatto chiacchiere sul lungomare. Ci saremmo dovuti rivedere a Salerno al termine della stagione della raccolta in terra pugliese. La morte ti ha sorpreso prima, la morte della povertà, per la speranza di migliorare la tua vita, per la volontà di lavorare non chiedere, ma anche la morte per lo sfruttamento dell’uomo di un altro uomo, per l’assenza delle istituzioni verso coloro che vivono sul proprio territorio, per il mercato che vuole prezzi bassi e schiavi a lavoro. Tante volte avevamo parlato dei problemi dei migranti, dei lavoratori agricoli, ma tutti i discorsi finivano con un tuo sorriso di speranza. Un saluto al mattino sempre gioioso e quel “ciao capo” che non era altro che un saluto tra due amici». Quando gli ospiti senza fissa dimora, accolti dai Saveriani, hanno appreso la notizia della morte del compagno, «increduli – conclude Bonifacio – mestamente, in un’atmosfera surreale e triste, dopo aver fatto la doccia, sono andati via».

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