L’accoglienza della famiglia Calò

Rendere possibile l’impossibile è solo una questione di cuore e di fede.
Testimonianza di un’esperienza che interpella il nostro coraggio a fare lo stesso.

Lunedì 17 Giugno, presso l’Istituto Saveriano di Salerno, ha avuto luogo l’ultimo appuntamento con i testimoni della fede che la famiglia Saveriana salernitana, su proposito di Padre Claudio Marano e con la collaborazione degli Uffici diocesani – Migrantes e Centro Missionario – e della EMI, ha proposto per tutto l’anno pastorale.

A dar voce a questo momento di incontro vi era Nicoletta, moglie, mamma, insegnante, di Treviso, che ha accolto, in accordo con tutta la sua famiglia, 6 giovani migranti. È nata così una nuova comunità in casa Calò: 6 bianchi e 6 neri – 6 italiani e 6 africani. Ecco parte del suo emozionante racconto, custodito nel volume A casa nostra – I nuovi ragazzi della famiglia Calò edito dalla EMI.

“Non era nei nostri programmi allargare così la famiglia, sebbene ci è sempre piaciuto che essa fosse grande. Con mio marito ascoltavamo angosciati le storie di morte nel Mediterraneo. Tanto era il dolore dinanzi ad ogni notizia diffusa dai telegiornali, che decidemmo di non commentare più quei tragici eventi, che ci lasciarono in lunghi silenzi, nella primavera del 2015”.

Aprile 2015, infatti,  è stata per Antonio Calò e la moglie Nicoletta Ferrara, un tempo significativo, connotato dal naufragio di oltre 1000 persone nel canale di Sicilia.

Basta! – disse mio marito – abbiamo solo la casa, apriamola a loro! e così, con questa frase, detta tutta di un fiato, abbiamo dato inizio alla nostra esperienza, frutto di una scelta e non di un progetto. Di colpo abbiamo capito che dovevamo lasciarci attraversare dalla storia, sebbene siamo consapevoli, oggi, di quanto quei silenzi hanno lavorato in noi. Siamo andati in Prefettura, offrendo disponibilità di spazi, quelli della nostra casa in cui eravamo pronti a stringerci coi nostri 4 figli, per accogliere da 2 a 6 giovani. Furono così accolti 6 ragazzi, sebbene avessimo richiesto delle donne, poiché più fragili, secondo il nostro pensiero. Sono arrivati alla nostra porta 6 giovanotti che hanno connotato fortemente il carattere maschile della nostra famiglia, dove ora siamo 2 donne (Nicoletta e sua figlia) e 10 maschi (Antonio, 3 figli italiani e 6 figli africani). Qualche preconcetto ha rischiato di attanagliarci: maschi, musulmani, giovani… ma è bastato incrociare il loro sguardo per fugare ogni brutto pensiero”.

L’esperienza di apertura del cuore e della propria casa, non ha interessato solo la famiglia Calò, ma ha avuto effetti anche nelle loro relazioni sociali. “All’ arrivo di questa massa nera – racconta Nicoletta –  i vicini si riversarono in strada; con loro avevamo avuto sempre un buon rapporto, ma quel nostro gesto li aveva resi, improvvisamente, a noi ostili. Questi loro atteggiamenti ci hanno intimoriti e ci siamo detti forse stiamo sbagliando? Signore cosa stai chiedendoci?. Ma proprio quella paura ci ha spronato a rimaner fedeli e fiduciosi. C’era un dentro e un fuori: in casa c’erano relazioni nuove e belle, da coltivare, custodire, curare, tutelare. Fuori c’era clamore mediatico, giornalisti ed insulti che ci hanno profondamente feriti. Io, maestra del mio paese, conosciuta da tutti, mi sono ritratta in casa, per tutelare i nuovi arrivati e coltivare questa convivenza, rifugiandomi anche da sguardi minacciosi e di disprezzo. Abbiamo comunque attivato un processo, pian piano, di conoscenza, di incontro e così, liberati dai preconcetti, toccando la realtà, anche buona parte dei nostri vicini ha cambiato idea. Animata da uno spirito tenace, io ho bussato alla porta di alcuni vicini che avevano deciso di tenerci a distanza e, con la scusa di offrire in dono la verdura che un nostro nuovo figlio aveva raccolto nei campi, ho rotto quel gelo”.

Sicuramente in casa Calò si respira la ricchezza che nasce dalla relazione autentica e che genera intrecci di storie ed emozioni. “ La cena è sempre stata il momento familiare più bello – condivide Nicoletta – in cui le pietanze africane, cucinate con entusiasmo dai nostri giovani, connotavano il pasto. Abbiamo avuto poi la pessima idea di chiedere loro di raccontare la storia personale di ciascuno e la scoperta della sofferenza in Libia ci ha sconvolto, al punto tale che abbiamo pianto al primo racconto, il cui carico di sofferenza non siamo stati in grado di digerire, per cui abbiamo sospeso questo argomento la cui conoscenza si è, poi, dipanata nel tempo di questa vita trascorsa insieme. Nonostante fossimo in dodici, in casa non si è mai discusso, mai una tensione: forse vivere insieme con gli altri aiuta a sviluppare tolleranza. Vi racconto un aneddoto della nostra vita: mio figlio desiderava fare il cammino di Santiago e solo la sera prima di partire si è accorto di non aver le scarpe per affrontare il viaggio. Mohammed con grande gioia gli ha donato le sue scarpe, ritirate alla Caritas, e questo gesto ha sancito quella reciprocità che è la base della nostra convivenza. Noi da loro abbiamo ricevuto tantissimo: le benedizioni delle loro preghiere, l’aver portato Dio a tavola, l’averci aiutato a parlare di Dio nella quotidianità, l’aver riscoperto il rispetto per i genitori; tutti valori annacquati nella nostra opulenza! Noi abbiamo scoperto di avere ricevuto una grazia che ci ha portato a vivere un dono di liberazione, caratterizzato dalla rinuncia al possesso, a vivere in comunione.

Non siamo riusciti a far tutto da soli, abbiamo chiesto aiuto ad una psicologa, quando abbiamo capito che non bastavamo per supportarli. Su invito dei ragazzi stessi, ho contattato via cellulare anche le mamme delle quali custodisco i figli e che riversano quotidiane benedizioni sulla mia famiglia”.

L’esperienza di Nicoletta e suo marito si radica in una scelta di fede, fatta di preghiera ed opere, infatti, ci racconta: “ in tutto questo tempo, con mio marito ci siamo lasciati interrogare dalla figura dei poveri descritti nella Scrittura e, accompagnati dalla Parola e sostenuti da un amico sacerdote, tentiamo di leggere sotto questa luce la nostra vita e ci sentiamo spinti ad essere loro accanto. Riconosciamo, grazie al nostro cammino di fede, che in questo cambio di rotta della nostra famiglia vi è un preciso disegno”.

Fuori dalla scuola dove lavora Antonio, Forza Nuova, tempo fa, ha affisso 6 manifesti con la foto della famiglia Calò, colmi di ingiurie, e ponendo il quesito: perché non prendete nella vostra Casa gli italiani? La semplice risposta di Nicoletta e Antonio è stata questa: “la nostra storia di vita si è incrociata con la storia dei migranti; noi ci siamo rimboccati le maniche e ciascuno, nell’ambito che reputa opportuno e più prossimo alla propria sensibilità, può fare lo stesso”. Non è stata questa l’unica difficoltà a dover essere affrontata:

“Le difficoltà ci sono venute dall’esterno, non dall’interno; questo è avvenuto, per esempio, quando non sono state accolte le istanze di soggiorno dei nostri ragazzi presso la Prefettura. In quei momenti duri, la speranza dei nostri nuovi figli ha rinfocolato spesso la nostra: loro sono sempre pronti ad andare avanti senza far entrare la disperazione”. La rete di amicizie ha aiutato molto la famiglia Calò a trovare tirocini per preparare i nuovi figli al lavoro professionalizzato. Oggi ci sono datori di lavoro che vogliono investire su di loro, riconoscono gli sforzi del loro percorso, tanto da proporre loro contratti a tempo indeterminato, favorendo così lo sviluppo della loro dignità e valorizzando le loro competenze.

“Vivere in famiglia – conclude Nicoletta –  aiuta tantissimo l’integrazione; noi l’abbiamo sperimentata con quel pizzico di follia che noi stessi abbiamo messo in campo, ma che non può essere chiesto a tutti; va invece da tutti interpellato il coraggio, per rompere il muro del pregiudizio e rinunciare a spazi, ricevendo, come la nostra esperienza attesta, il centuplo in grazia e benedizione. Abituiamoci a vedere il bene e non la minaccia; ciò che è diverso non è minaccia, ma ricchezza. È normale che chi non ha, ricerchi, noi che invece abbiamo tanto, ci preoccupiamo solo di tenere/continuare a possedere. Mettiamoci dentro la storia. Ciascuno può portare avanti la storia dell’umanità I miei figli africani sono increduli per essere trattati bene, di vivere con dei bianchi come fratelli, usando le loro stesse cose, e soprattutto amati”.

Oggi, Nicoletta e il marito Antonio, vivono in una canonica con un sacerdote, in accordo col vescovo, dando vita ad una comunità in cui si vive la complementarietà delle vocazioni (sacerdotale e matrimoniale). La canonica, a detta di quanti li conoscono, ora sa più casa e con loro vivono uno dei figli della famiglia Calò, un seminarista in tempo sabatico, un ragazzo del Mali, una ex alunna del prof. Calò. Tutto può diventare ricchezza ed opportunità.

Marta Chiaradonna

 

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