Alberto e Serena ci raccontano il loro viaggio a Modica, ospiti della comunità missionaria nata sulla “linea del fronte” dell’immigrazione per accogliere chi scappa dalla fame e dalla guerra.
C’è una sorta di inquietudine che ci porta a cercare luoghi, persone ed esperienze per conoscere “pezzi di vita” missionaria. Quando suor Adriana Marsili, sorella saveriana, ci raccontò della sua prossima destinazione, Modica, restammo affascinati da questa missione in Italia, sulla “linea del fronte” dell’immigrazione. Da allora era ritornata spesso l’ipotesi di andare a conoscere questa singolare esperienza.
Finalmente, quest’estate, le condizioni si avverano, complice anche la voglia di conoscere una terra, la Sicilia, che ancora non avevamo visitato.
Tre religiosi, due donne e un uomo (in attesa dell’arrivo di un secondo padre), congregazione diverse, ma un ‘denominatore’ comune: missionari. Insieme a Modica per accompagnare, facendo anche una sorta di ‘mediazione culturale’, i migranti che, a migliaia, sbarcano a meno di venti chilometri di distanza, al porto di Pozzallo.
Anni di esperienza missionaria in giro per il mondo, ora la missione è tra chi arriva in questa terra, in fuga dalla fame e dalla guerra. Formano la prima comunità missionaria intercongregazionale mista.
L’idea ha radici lontane. Nel febbraio 2013, gli Istituti Missionari in Italia organizzarono a Trevi un Forum per riflettere insieme su come “Educare ed educarsi alla Missione”. Tra le dieci parole che componevano il documento conclusivo del Forum, due in particolare emergevano come novità: lavoro intercongregazionale in stile di comunione e rapporto con gli stranieri immigrati in Italia, tramite contatti personali.
La prima idea fu quella di costituire perciò una comunità a Lampedusa: proprio nell’ottobre del 2013 il naufragio con un’ecatombe nel cuore del Mediterraneo. Questa idea, però, fu accantonata quasi subito: Lampedusa era un luogo di arrivo, i migranti vi rimanevano ben poco, chiusi nei centri di accoglienza.
L’obiettivo rimaneva, però, la Sicilia, terra di migrazioni vecchie e nuove. La diocesi di Noto ha manifestato grande interesse verso questa nascente comunità, aprendole le “porte” della sua vita ecclesiale.
Oggi ne fanno parte Suor Dorina Tadiello, missionaria comboniana, suor Rachel Soria, missionaria della Consolata e padre Carlo Uccelli, missionario saveriano. Suor Adriana è partita a fine luglio, destinazione Messico: è la vita dei missionari.
Suor Dorina Tadiello, medico, è stata superiora provinciale delle missionarie comboniane d’Italia dopo una lunga esperienza in Uganda dove ha affrontato il dramma dell’ebola presso il Lacor Hospital di Gulu, fondato dai coniugi Corti; suor Rachel Soria, argentina d’origine, è stata per tanti anni in Kenya, coi bambini e i ragazzi abbandonati e abusati, con gli adolescenti sfruttati, con i carcerati abbandonati; padre Carlo Uccelli, piacentino, è stato per dieci anni nella Repubblica democratica del Congo poi, oltre trent’anni a Piombino insieme a Emma Gremmo a guidare, oltre ad una difficile parrocchia, la formazione di innumerevoli famiglie di laici in partenza dalla missione.
L’esperienza che abbiamo vissuto è stata di totale accoglienza. Per circa dieci giorni siamo stati ospitati nella grande struttura dove vivono i missionari, abbiamo condiviso la loro vita, i loro momenti di preghiera, i loro pasti, i loro progetti. Certamente essendo il periodo estivo, molte attività erano rallentate ma questo non ci ha impedito di conoscere varie iniziative e soprattutto lo spirito con cui la comunità le porta avanti.
La Comunità è accompagnata dai collaboratori della Caritas diocesana, così come di Migrantes e Centro Diocesano Missionario. In particolare abbiamo potuto conoscere le attività che girano intorno alla Caritas di Modica. Con i “Piccoli fratelli”, un’associazione di volontari che opera soprattutto nell’ambito della disabilità e del disagio mentale, abbiamo passato un pomeriggio di condivisione al mare mentre nei giorni successivi abbiamo potuto conoscere la multiforme attività della Cooperativa don Puglisi. Con Salvo e Christian abbiamo conosciuto la “Casa don Puglisi” che, in una storica casa nobiliare del centro storico, accoglie donne in difficoltà con i loro figli; il laboratorio di produzione del cioccolato di Modica e di altri ottimi dolci che occupa le donne della Casa o quelle che ne sono uscite per intraprendere un percorso di autonomia; il centro di aggregazione “Crisci ranni” dove decine di bambini si raccolgono per il doposcuola, per giocare, per i grest estivi e che offre percorsi di cittadinanza per gli adolescenti delle scuole superiori che sono coinvolti nel centro come volontari. La Cooperativa gestisce anche un negozio/bar nella via principale della città dove è possibile godersi un’ottima granita siciliana ma anche acquistare un libro o le tavolette di cioccolata o i biscotti prodotti dal laboratorio.
La Comunità è anche punto di incontro di persone che vengono a confrontarsi con i missionari o a proporre iniziative. Lì abbiamo conosciuto Valentina, psicologa e Najila, mediatrice culturale, che si prendono cura dei migranti appena arrivatiti; attraverso i loro racconti abbiamo conosciuto
l’esperienza di Emanuele che siamo andati ad incontrare a Pachino, nel cuore rosso della Sicilia. Qui è dove il pomodoro, che è ricchezza, diventa maledizione per gli immigrati che appena giunti in Italia, entrano in un sistema di caporalato che rasenta forme di schiavitù. Emanuele, un agronomo, collabora in importanti progetti per fare uscire i migranti da questi percorsi degradanti e restituire loro dignità ed un futuro. Ma in comunità abbiamo conosciuto anche il sindacalista che aveva lavorato insieme a suor Rachel al presidio di accoglienza nel porto di Pozzallo; un porto, e una presenza incombente perché, nonostante sia distante diversi chilometri, è lì che sbarcano i migranti dopo un tremendo viaggio dal cuore dell’Africa o di altri continenti.
La Comunità è anche corsi di italiano per stranieri (i missionari sono favoriti spesso dalla conoscenza delle lingue africane), accoglienza di immigrati (mentre eravamo presenti erano due le persone accolte direttamente in comunità e cinque in un appartamento poco distante), punto di riferimento per il quartiere.
La sera era bellissimo vedere che i bambini dalle case intorno, di diverse nazionalità, confluivano a giocare nel grande cortile della Comunità, l’unico luogo pianeggiante fra le impervie salite di una città costruita sulle balze di una sorta di canyon.
L’esperienza è stata perciò ricca di spunti e di incontri, ci sono stati i momenti forti ma anche la semplice condivisione di attimi consueti come preparare il cibo, apparecchiare la tavola oppure mangiare una pizza insieme nella piazza di Scicli di fronte al mitico “commissariato” di Montalbano.
Alla fine dei dieci giorni ci sentivamo a casa, sentivamo di essere in un posto dove, parafrasando Francesco De Gregori, “tutto ci sembrava andasse bene fra noi, le nostre parole e la nostra anima”. Abbiamo lasciato Carlo, Dorina e Rachel che progettavano insieme alla comunità cristiana di Modica l’accoglienza di una famiglia siriana che sarebbe giunta di lì a poco attraverso i corridoi umanitari.
Li abbiamo lasciati ma non è stato facile riprendere quell’aereo che ci riportava alla nostra solita quotidianità.
Alberto Chiappari Serena Rolandi